Egr. Sig. Sindaco,
“Creare” continuamente l’evento sembrano essere fra gli imperativi della nostra società. E’ sempre più evidente la rincorsa da parte di ogni località al procurarsi il proprio “grande evento”: ogni località insegue (a seconda della scala di importanza che la stessa ricopre) una “misura” da correlare a quella della località stessa. Ciò che può essere grande evento per una località di piccola-media dimensione, probabilmente non lo è per una metropoli a elevato profilo internazionale o anche per la rinomata località turistica. La portata dell’evento va dunque messa in relazione con l’importanza e le funzioni di una località. L’ “evento” è però, rispetto alla città che lo organizza, anche un “luogo comune”.Si tende cioè a far apparire scontato e fuori discussione che le città debbano competere per i grandi eventi, un qualcosa di ineluttabile e naturale,un “luogo comune”, in quanto messo in comune. Basti pensare, per fare un esempio, alle Olimpiadi, che fanno “incontrare” lo spazio dove l’evento si manifesta per “continuare ad esistere” e la dimensione “mediatica” attraverso la quale moltissime persone in tutto il mondo tele-orientano anche se per poco i loro sguardi verso un unico luogo ed un , un unico “fatto”.Già questo aspetto “collusivo” pone delle questioni di fondo in funzione critica della cosiddetta “globalizzazione”. Possono, infatti, apparire differenze nel rapportarsi con il grande evento, nell’usarlo e nell’esserne usati, nell’organizzare l’evento attraverso strategie forti, dall’alto, esclusive, oppure nell’adattarlo al contesto locale attraverso strategie più inclusive, capaci di attivare attori e risorse del territorio, innescando processi di sviluppo locale. Per tornare all’esempio precedente: il grande evento olimpico è in grado di modificare strutturalmente lo spazio fisico, economico e sociale di una località. Prima lo differenzia selezionando alcune località e scartandone altre. Tra quelle scelte, ne richiede una trasformazione per adattarlo alle proprie esigenze. Il che potrebbe generare, proprio per la questione della “globalizzazione” , un impulso ad omologare la località prescelta a “luogo comune” (ovvero “uguale” agli altri). Ma la relazione può essere ambivalente, poiché l’incontro tra il mondo olimpico e la località prescelta nel “luogo comune” del grande evento è soprattutto un rapporto di forza. Il grande evento chiede alla località ospitante di trasformarsi in una specie di “cinema all’aperto” entro cui si debbono svolgere le gare, e dove ogni microevento deve avere un palcoscenico appropriato. Lo spazio olimpico viene pertanto “progettato, costruito e gestito” in quanto spettacolo da una regia collettiva, dove comitati organizzatori ed Istituzioni (comunali e sovra comunali) giocano un ruolo guida. Inoltre, lo spazio olimpico è un prodotto, che deve essere venduto, e come tale oggetto di strategie di marketing. Lo spazio olimpico si sovrappone al territorio della località ospitante, condividendone si luoghi, ma anche strutture, funzioni. Questa sorta di “palcoscenico territoriale” rimane anche dopo lo smantellamento della scenografia olimpica. Ciò fa facilmente intuire che anche dopo la manifestazione, la località si presenta comunque mutata, “diversa” dalla precedente. Evidentemente non è solo la location che determina l’evento. Il fatto più importante è la strategia di sviluppo che viene messa in moto in funzione dell’evento stesso. Nel miglioramento dell’immagine nazionale di Jesolo non può esserci solo l’evento in sé. E’ necessaria anche un organizzazione pubblico-privata per attirare investimenti italiani ed esteri . Non basta perciò un immagine stereotipata a colmare i ritardi rispetto ai mutamenti avvenuti negli ultimi decenni, sul piano del potenziamento del rilancio e dell’offerta turistica, o su quello del miglioramento del sistema dei trasporti e dell’accessibilità dell’area – precondizioni, queste, per un effettivo riposizionamento di Jesolo quantomeno su scala europea. Né può bastare l'urbanistica e la progettazione come modello di trasformazione preponderante , a supporto dell’”evento”. Non stupisce che la crisi globale, alla luce dei numerosi “eventi” creati a livello mondiale abbia messo in luce meccanismi sregolati e speculativi: molti progetti legati ai grandi eventi sono stati incapaci di generare ricadute positive per il territorio e portatori addirittura di indebitamento. Ciò fa presumere un’altra conseguenza: la mancata reazione forte alla crisi nell'ottica di trasformare radicalmente la struttura competitiva, ad esempio turistica di una località, si rifletterà in tutta probabilità, in una sorta di “dogma” dello sviluppo urbano attraverso i grandi eventi. Quando calano sia i consumi sia le esportazioni, non restano che gli investimenti per far crescere il PIL. E quando servono investimenti veloci, quale scusa migliore dei grandi eventi? Da qui la domanda, altrettanto ovvia: ha ancora senso puntare su un evento qualsiasi in funzione anche di una competizione globale tra città?. Nell’attuale situazione di crisi, con il PIL mondiale in calo, le città più dinamiche del futuro prossimo non saranno più solo quelle capaci di attrarre eventi e generare progetti urbani alimentati dal mercato immobiliare, ma saranno quelle detentrici di importanti risorse culturali e identitarie e capaci di metterle a base della creazione di nuova cultura e di nuovo valore urbano. La rigenerazione delle città dovrà offrire preziose occasioni di reale sviluppo – sempre più qualitativo – capace di produrre effetti sia nel dominio dei beni collettivi sia nel dominio dei capitali privati. La città, quindi, come luogo desiderabile dove vivere, lavorare, formarsi e conoscere, luoghi produttivi e attrattivi. Una città costruita con le ambizioni ed i desideri dei cittadini che la compongono ma anche con le motivazioni della classe produttiva. Ritengo però che per Jesolo sia importante, ad oggi, “collegarsi” con l’Expo di Milano. E’ indubbio, infatti, che, per una buona riuscita dell’Expo sia fondamentale valorizzare tutto il territorio, non solo Milano e la Lombardia. Il sito della Fiera andrebbe considerato come un centro nevralgico dal quale segnalare ai visitatori, ad esempio, la ricchezza dei percorsi culturali e turistici di Jesolo (nonché la sua accessibilità: in questo senso la TAV risulterebbe uno “stimolo” importante).La ricaduta economica successiva all’EXPO, derivata dal turismo e dagli scambi culturali e commerciali, assicurerebbe anche a Jesolo un successo indiretto dell’evento. Ma il successo più grande deriverebbe dall’aver rilanciato Jesolo attraverso un evento di portata mondiale. Mi auguro che la mancata "partecipazione" all'Expo di Milano non si traduca in un'ulteriore sconfitta per la nostra città e la nostra Regione.
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