Google Translate

mercoledì 12 gennaio 2011

L'architettura non è solo una bella immagine

Asfaltare o trovare una soluzione che non “svaluti” il progetto del noto architetto spagnolo? Certo è che l’esperienza di Piazza Mazzini insegna che l’architettura non è solo una bella immagine, serve per risolvere i problemi, trovare soluzioni. Una piazza, un edificio, non è solo “forma”: deve infatti rispondere a quesiti. A mio modo di vedere, l’architettura dovrebbe essere un luogo di studio dove l’uomo entra in relazione con l’edificio e con l’ambiente che lo circonda. Invece si assiste, in generale, ad una progettazione che riimane sganciata da questa esigenza: Nel mondo, si progettano e si costruiscono edifici moderni, con relative piazze, pensati forse come opere d'arte in sé e non in funzione della vita comunitaria. Mi pare di intuire che anche per Piazza Mazzini vi sia stato un problema di dialogo tra committenza e architetti: senza partecipazione al progetto, l’unica soluzione è affidarsi all'ispirazione (spesso astratta) dell’ architetto. Insomma, una piazza non è fatta di modelli da replicare: è necessario il coinvolgimento di più attori. In breve: l’applicazione democratica e innovativa all’interno del nostro sistema di progettazione dovrebbe iniziare con la partecipazione ad ogni dettaglio e ad ogni fase del progetto, e non solo con il coinvolgimento nella scelta finale della progettazione!! .L’ atteggiamento verso l’adattabilità è totalmente diverso dal solito metodo di pianificare “dall’alto verso il basso” . In questo senso, l’attuale architettura nasconde una certa ideologia

lunedì 10 gennaio 2011

ABOLIAMOI I SALDI!!

A vedere le code assurde di questi giorni per i saldi di fine stagione, si è colti dall’insopprimibile desiderio di abolirli. Chi non ha urgenza di acquistare un prodotto aspetta  la vendita di fine stagione, per poterlo avere a un prezzo inferiore. L’esercente è invece costretto a mantenere  un magazzino che resterà intatto per gran parte del tempo, fino a quando iniziano gli sconti. E’ un po’ come complicarsi la vita per realizzare una modalità di !affare” che è semplice nella realizzazione. Le leggi, la burocrazia, chissà perché, è fatta per complicare le cose. Se prima del 1998 le vendite straordinarie di liquidazione si realizzavano in momenti favorevoli per gli acquirenti (date certe e comunicazione al Comune), la nuova riforma trasferiva la competenza di regolare i saldi alle Regioni. Non cambiando però il modo per effettuare le vendite di liquidazione: la Regione stabilisce dove e quando effettuarle. E poi dicono che c’è il libero mercato. Far partire gli sconti dopo le feste (a differenza di Paesi seri dove si comprende cos’è il libero mercato) è una presa in giro dei consumatori e dei commercianti. In un periodo di crisi, una presa in giro e anche un madornale errore. E come la mettiamo con le furbizie (spesso furbizie indispensabili per non chiudere i battenti) dei commercianti? Si inventano ridicoli escamotage: il negozio che liquida tutto per restauri urgenti. Poi, smaltita la merce in eccesso, il negozio toglie le scritte e ricomincia a lavorare ; c’è quello che si affida alla “vendita prenatalizia” o alle “occasioni regalo”, quello che spera nell’”anteprima”, quello che confida nei “supersconti” o nella “vendita promozionale” . E c’è anche quello che, beccato in flagranza di saldo camuffato, si becca una bella multa. E ancora:  “angoli outlet” , “prezzi pazzi” (sconti tutto l’anno?). Tutti modi per sfuggire ad una dittatura normativa per realizzare vendite più consone alle proprie esigenze. Aggiungo: si vogliono aiutare le famiglie in difficoltà , si vogliono incentivare i consumi con la crisi ancora incombente. Si invita a spendere senza avere paura. Se l commercianti potessero applicare liberamente gli sconti, la situazione sarebbe sicuramente migliore anche per  le famiglie, senza cercare inutili social card.

domenica 9 gennaio 2011

Lettera Aperta del 9 gennaio 2011 al SINDACO e al SEGRETARIO NAZIONALE ADC On. Francesco Pionati. Dignità umana e Libertà Religiosa.

In questi ultimi mesi i media hanno riportano quasi tutti i giorni preoccupanti notizie della persecuzione più o meno violenta ai cristiani in non pochi paesi dell’Asia e dell’Africa — come l’Arabia Saudita, la Cina, il Pakistan, il Sudan o la Nigeria —,non ultimo l’Egitto - mettendo per contrasto in evidenza nell’opinione pubblica il valore del diritto fondamentale alla libertà religiosa. In secondo luogo, dalla questione sulla libertà religiosa emergono importanti considerazioni sulla natura, i limiti e le giuste espressioni di questo diritto fondamentale, in armonia — e non in contrasto — con il patrimonio delle proprie tradizioni culturali, in molti casi della pressoché bimillenaria presenza culturale cristiana italiana ed europea. Diritto alla libertà religiosa e “ libertà religiosa” sono due concetti diversi. Il concetto di “libertà religiosa” non significa che tutte le religioni sono uguali, che tutte sono vere, e che ciascuno è liberissimo di scegliere quella che più gli piaccia: la verità su Dio, è una realtà oggettiva, non soggettiva; assoluta, non relativa; che non dipende dalla nostra ragione o dalla nostra volontà, pur se deve essere ricercata con una volontà esente da coazioni ed una ragione esente da pregiudizi. Diritto alla libertà religiosa significa ben altra cosa: nessuna persona può essere forzata ad attuare contro la sua coscienza, né può essere impedita di professare la sua religione in privato e in pubblico. Nella “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 si assiste ad una convergenza dottrinale tra dottrina giuridica ed il Magistero della Chiesa Cattolica. Tale Dichiarazione fondamenta essenzialmente la “libertà religiosa” in un medesimo concetto basilare: la “dignità della persona umana”, fondamento di tutti i “diritti universali della persona”. E’ pur vero, però, che la Dichiarazione non è legge internazionale ma, piuttosto “un ideale comune per la cui realizzazione tutti i popoli e nazioni devono sforzarsi”: come tale, però, è venuta progressivamente svuotandosi di autorità morale e di forza vincolante, a causa della crescente diffusione del pensiero filosofico e politico di individualismo libertario, o di matrice nichilista e agnostica. Introducendo un falso concetto di libertà disgiunta dalla verità, l’individualismo libertario non determina più alcun limite etico obiettivo alla condotta personale e sociale e, in ultima analisi, nemmeno ammette l’esistenza di valori obiettivi e universali moralmente e giuridicamente vincolanti, tra i quali il retto concetto di “libertà religiosa” e il giusto esercizio di questo diritto. La libertà religiosa è perciò una verità universale sulla natura e la dignità della persona umana — una verità che non può dipendere dalla opinione della maggioranza. Questo ci porta, inevitabilmente, alle persecuzioni cristiane in aree geografiche dove sussiste l’abuso totalitario di negare la libertà di coscienza ai propri cittadini (o, peggio, quella di negare la libertà di professare pubblicamente la propria religione non islamica), ma anche ad evidenti limitazioni della libertà religiosa in alcuni altri Stati totalitari: quelli che dinnanzi alla questione religiosa adottano una ideologia officiale di secolarismo ateo o, antireligioso (come la Cina ad esempio). E’ necessario però riconoscere che anche nei sistemi giuridici di paesi democratici sorgono problemi di insufficiente tutela della libertà religiosa. Quando, infatti, si introducono espressioni quali “neutralità dello Stato” o “laicità dello Stato” sono concepite, interpretate o applicate come una concessione dello Stato al cittadino — non come un’esigenza della dignità stessa della persona umana che precede ogni diritto positivo. Quando, infatti, il concetto di “laicità” si traduce di fatto in “laicismo”, il diritto alla libertà religiosa si tramuta in un atteggiamento negativo, di disprezzo “agnostico” delle credenze religiose, considerate frutto dello scarso progresso sociale o sviluppo culturale. Lo Stato, ma anche le Amministrazioni locali dovrebbero avere tutto l’interesse a vigilare, nonché tutelare, affinchè il diritto di libertà religiosa sia effettivamente garantita a tutti. Come ebbe a dire Giovanni Paolo II: …se un credente si sentono rispettati nella propria fede, e vedono le proprie comunità giuridicamente riconosciute, collaborano con tanta più convinzione al progetto comune della società civile di cui sono membri”. E come ogni questione che tocca il diritto positivo, è innegabile che vi debbano essere dei limiti che è giusto porre oggi all’esercizio del diritto alla libertà religiosa. L’Art. 18 del “Patto internazionale sui diritti civili e politici”, del 19 dicembre 1966, applicato successivamente nelle legislazioni di molti paesi, prevede che l’esercizio del diritto alla libertà religiosa possa essere limitato in base alla necessaria tutela della sicurezza, dell’ordine e della sanità pubblica, oltre che della morale pubblica e degli altrui diritti e libertà fondamentali. È questa la ragione, mi pare di capire, per cui negli ultimi anni e in non poche nazioni si è negato il riconoscimento giuridico a determinate sette e a nuovi culti pseudoreligiosi, che compivano o promuovevano atti contrari alla legge naturale condannati come delitti in qualsiasi società civilizzata. Da una parte, quindi, le ragioni relative alla “sicurezza” di una democrazia che affronta le questioni del “fondamentalismo religioso”. Dall’altra, il pericoloso sconfinamento delle democrazie occidentali in un laicismo che in modo spesso subdolo emargina la religione per confinarla nella sfera privata: “Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”. Un breve excursus storico sul dibattito relativo all’opportunità di inserire un richiamo alle radici cristiane all’interno delle prospettive costituzionali europee, oltre a fornirle, mi auguro, un utile materiale di discussione in sede consiliare sulle questioni giuridiche riguardanti il diritto alla libertà religiosa, potrà fornirle un utile prospettiva per ragionare su questioni che riguardano anche le minoranze religiose residenti nella nostra Città. L’Alleanza di Centro ritiene indispensabile, anche come partito di maggioranza di governo del Paese, di iniziare un ampio confronto su tali questioni a partire dalle Amministrazioni Pubbliche locali. Perché "Là dove si riconosce effettivamente la libertà religiosa -ha detto il Papa - la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice e, attraverso una sincera ricerca del vero e del bene, si consolida la coscienza morale e si rafforzano le stesse istituzioni e la convivenza civile; per questo la libertà religiosa è via privilegiata per costruire la pace".

a) L’ ART.6 del Trattato di Maastricht (1992) si affermava il rispetto dei diritti fondamentali da parte dell'Unione europea, diritti ricostruiti soprattutto attraverso la giurisprudenza della Corte di giustizia e ricavati dalla lettura delle "tradizioni costituzionali comuni" degli Stati membri e dalla Convenzione euopea dei diritti dell’uomo;

b) In seguito, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione è stata riconosciuta dalla "Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza), approvata nel 2000 in seguito ai lavori di un'apposita Convenzione e contenente un catalogo dei diritti riconosciuti dall'ordinamento europeo. La Carta, inizialmente approvata con una semplice dichiarazione e perciò priva di valore vincolante, era destinata a costituire la seconda parte del "Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa” la cui elaborazione e firma (il 29 ottobre 2004) aveva generato un ampio dibattito, anche sulla presenza nell'articolato di questioni relative al fattore religioso (su tutte quella dell’opportunità di inserire all’interno del Preambolo un richiamo alle “radici cristiane” dell’Europa);

c) Dopo la mancata ratifica di tale trattato ed il fallimento delle prospettive "costituzionali" europee, si è giunti alla firma, nel 2007, del Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Il Trattato di Lisbona ha introdotto alcune importanti modifiche ai trattati istitutivi (alcune di esse interessano da vicino anche il fattore religioso). Anzitutto, alla Carta di Nizza viene conferito "lo stesso valore dei trattati" (art. 6 del nuovo Trattato sull'Unione europea): i diritti da essa sanciti divengono, quindi, vincolanti per le istituzioni comunitarie e per gli Stati, negli ambiti di applicazione del diritto dell'UE. In secondo luogo, il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ripropone, all'art. 17, il contenuto della dichiarazione n. 11 annessa al Trattato , in base alla quale "l’Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale";

L'art. 17 del nuovo trattato prevede che l'Unione assuma l'impegno del dialogo aperto, trasparente e regolare con chiese e organizzazioni, da tempo presenti a Bruxelles con uffici e rappresentanze più o meno strutturate. E’ dunque ancora una volta la strada del dialogo e della collaborazione, già sperimentata in numerosi degli Stati dell’Unione, quella intrapresa da una Europa che, senza rinunciare alla propria connotazione laica, riconosce l’importanza del “contributo specifico” che le confessioni religiose possono offrire. Un contributo che potrebbe essere decisivo in relazione alla necessità di ammortizzare possibili situazioni conflittuali determinate dall’aumento di disomogeneità religiosa determinato dai consistenti flussi migratori extraeuropei ed intraeuropei..

DISTINTI SALUTI
Walter Luvisotto
Coordinatore ADC
Comune di Jesolo (VE)