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martedì 30 novembre 2010

Crisi economica, è necessario invertire la rotta anche a livello locale.

La politica restrittiva di bilancio dei Comuni alimenta la speculazione. Serve subito una svolta per scongiurare un’ulteriore caduta dei redditi e dell’occupazione. La gravissima crisi economica globale, e la connessa crisi della zona euro, non può risolversi solo con una politica di tagli al bilancio né attraverso un aumento diretto o indiretto delle imposte locali. L’attuazione della cosiddetta “politica del sacrificio” accentua ulteriormente il profilo della crisi, determinando una maggior velocità di crescita della disoccupazione, delle insolvenze e della mortalità delle imprese. Le politiche di “austerità” abbattono ulteriormente la domanda, deprimono i redditi e quindi deteriorano ulteriormente la capacità di corrispondere positivamente alle richieste di imposte locali.
pensiamo, inoltre che la preferenza verso politiche di “austerità” rappresentano anche e soprattutto l’espressione di interessi sociali consolidati. Mantenere la “presa” su politiche di austerità, significa anche accelerare i processi di smantellamento delle imprese turistiche ( un aumento della mortalità di tali imprese significa che quei capitali che usciranno vincenti dalla crisi potranno rilanciare l’accumulazione sfruttando tra l’altro una minor concorrenza sui mercati e un ulteriore indebolimento del lavoro). Occorre che anche Jesolo intraprenda un autonomo sentiero di sviluppo delle forze produttive, di crescita del benessere, di salvaguardia dell’ambiente e del territorio, di equità sociale. Fermare le eventuali speculazioni è senz’altro possibile, ma occorre sgombrare il campo dalle incertezze e dalle ambiguità politiche

martedì 23 novembre 2010

“…Adesso lo sai! Ecco cosa significa essere vivi. Aggirarsi in una nuvola d’ignoranza; andare attorno calpestando i sentimenti di quelli… di quelli che avete vicino… sprecare il tempo, buttarlo via come se gli anni da vivere fossero milioni… ignoranza, cecità” (Piccola Città di Thornton Wilder)..Piccole (e convinte) ragioni per un blog...

Coltivo il sano pessimismo del critico nell’ irriducibile speranza che la società rigetti nichilismo dominante. Fede e sentimento sono sotto assedio: è perciò importante ritrovare il senso delle parole all’interno di un “discorso” sul mondo, eliminando rancore e risentimento alla base di “vuote” polemiche. L’affermarsi, poi, del “politically correct” (la formula indica, grosso modo, lo sforzo organizzato e progettuale di concedere a qualsiasi minoranza o gruppo etnico, comportamentale, di sesso, ecc., di natura minoritaria, pari diritti, opportunità, eliminando qualsiasi tipo di discriminazione; anche imponendo - se necessario - con strumenti istituzionali la garanzia paritaria. La supposta vittima della “sopraffazione” reagisce con il lamento, una vera e propria forma di aggressione gratuita e pretestuosa. Il discorso diventa fatalmente anche politico quando esso si sostituisce alla crescente disaffezione per i grandi temi pubblici. Il discorso diventa allora di “facciata”, egoistico, e cancella "lo sforzo di progresso della società". Anche a Jesolo permane, come in altre cittadine, il tentativo di identificare (nella politica come “vissuto” locale) un Padre-padrone a cui dare la colpa : l'accento cade anche qui sulla soggettività: le sensazioni che proviamo, anziché ciò che pensiamo o siamo in grado di sapere." Anche l'ambiente informativo sembra aver preso gusto alle etichette che sostituiscono alla riflessione e alla capacità di giudizio un facile moralismo. Anziché “informare” per educare le persone a proporsi obiettivi alti, si dedicano “vuote polemiche” in modo da generare inadeguatezza". Se il tentativo di trovare un valore supremo a tutti i piccoli eventi della vita quotidiana di una “piccola” città diventa, per i fautori del discorso “politicamente corretto”, una pretesa, una rivendicazione di diritti “supposti tali”,  ciò significa, attribuire la massima assurdità possibile al discorso. E ciò appare ancor pù devastante se mettiamo la “cittadina” Jesolo sullo sfondo elle sterminate dimensioni del tempo e dello spazio (la “golbalizzazione”). Il mio lamento, e di chi la pensa come me, si appunta alla perdita della capacità di produrre cultura. Ecco i punto: sostituire al concetto di qualità quello di corretto, senza istituire dei criteri oggettivamente validi per stabilire cosa rientri nel corretto e cosa no. Ciò provoca lo scadimento nella politica e nella società, a cui si accompagna una tendenza al lamento.

lunedì 22 novembre 2010

Walter Luvisotto: “Più campi da golf a Jesolo?” Il piacere del golf ...

Walter Luvisotto: “Più campi da golf a Jesolo?” Il piacere del golf ...: "“Più campi da golf a Jesolo”? La proposta non è nuova. Forse il sindaco ha voluto accogliere positivamente l’annuncio dato dal Ministro per ..."

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Walter Luvisotto: TRASFORMAZIONI URBANE e “MITO” DEL GRANDE EVENTO:...: "Egr. Sig. Sindaco, “Creare” continuamente l’evento sembrano essere fra gli imperativi della nostra società. E’ sempre più evidente la rincor..."

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Walter Luvisotto: "Pulire la spiaggia" o rinunciare a "Miss Italia n...: "Egr. Vicesindaco, 'Se servono i soldi per pulire la spiaggia e non si trovano, o alziamo la Tia o iniziamo a prenderli,ad esempio, rinuncian..."

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Walter Luvisotto: Perchè sono contrario all’apertura posticipata del...

Walter Luvisotto: Perchè sono contrario all’apertura posticipata del...: "La proposta del Sindaco di Jesolo di posticipare l’apertura dell’anno scolastico piacerà sicuramente alla maggior parte degli studenti: stop..."

Perchè sono contrario all’apertura posticipata delle scuole.

La proposta del Sindaco di Jesolo di posticipare l’apertura dell’anno scolastico piacerà sicuramente alla maggior parte degli studenti: stop all’inizio anticipato dell’anno scolastico perché provocherebbe l’ anticipata chiusura della stagione estiva anche rispetto al ciclo meteorologico. Ciò determinerebbe per le regioni a vocazione balneare un conseguente accorciamento della stagione turistica, con cadute occupazionali e reddituali. Il ragionamento dal punto di vista economico potrebbe “salvare” il turismo italiano se non fosse che anche l’educazione dei figli attraversa la nostra vita. Chiedersi perché i bambini debbano andare a scuola, quale sia la vera funzione dell’educazione, è importante così come chiedersi quale possa essere il “risultato” economico con il posticipo dell’apertura dell’anno scolastico : tra scuola ed istituzioni dovrebbe esserci una sintonia di intenti. L’educazione è fondamentale per la comprensione della vita, per avvicinarsi alla vita, per essere dentro la vita. I contenuti che vengono proposti nella scuola, attraverso il percorso didattico, hanno un grande valore: portano il mondo alla portata dei bambini, portano il significato della vita con tutti i suoi problemi. La scuola non è solo una fabbrica di bulli o perditempo, ragazzi “obbligati” con la forza a studiare, insegnanti frustrati e incapaci; la superficialità e l’indifferenza con cui vengono formulati giudizi è sotto gli occhi di tutti.
Ce ne rendiamo conto quando vediamo un ragazzo che si ubriaca o si droga: lo possiamo giudicare come un semplice fatto che accade a quella persona oppure come una profonda ingiustizia che tocca tutta la nostra persona. La differenza tra queste due atteggiamenti dipende dalla nostra visione delle cose , dai sentimenti e dai pensieri di cui siamo portatori. Un normativa anti alcool o anti – bottiglia assomiglia ad giudizio morale :solo moralismo spicciolo, fondato su una concezione piuttosto vecchia di autorità. E’ altrettanto chiaro, quindi, che un giudizio morale è anch’esso sottoposto a revisione e critica. In un qualsiasi discorso pubblico (e la politica rientra in tale ambito),il giudizio morale è sottoposto alla riflessione: come tale esplora le risorse critiche degli individui utilizzando il ragionamento; quando mettiamo in luce punti di vista isolati e distanti e la loro incoerenza nei giudizi. Ecco che, allora, quando ipotizziamo, in politica, l’applicazione di una regola giuridica (sapendo che questa inciderà sulle libertà altrui), dovremmo sempre chiederci: in che modo tale regola inciderà sulla libertà altrui? E’opinione comune che la scuola debba preparare ad un lavoro: un ragionamento condivisibile in parte (è vero che il mondo del lavoro ha bisogno di persone che siano andate a scuola): l’istruzione non può essere riducibile ad un modo per fare soldi. Così come il turismo non è solo un modo per incrementare i consumi. La scuola non fabbrica mestieri ma, al contrario, aiuta ad approfondire le proprie capacità di analisi ed approfondimento:crea menti pensanti e critiche. La “scuola” (almeno, nelle intenzioni, e così dovrebbe essere) dovrebbe selezionare in base al “sapere” di ognuno e non in base ad un titolo (la laurea come titolo legale). Per il nostro sistema scolastico, fino ad ora, è stato importante il titolo: al contrario si dovrebbe essere più attenti a ciò che si sa e si sa fare, e a ciò che si conosce. Veniamo alla questione di fondo: posticipare l’apertura dell’anno scolastico. Cosa “dice” la normativa in proposito? A) L’inizio e il termine dell’anno scolastico e la durata complessiva delle lezioni sono fissati per legge, la durata delle lezioni deve essere almeno di 200 giorni. B) Spetta al Ministro della Pubblica Istruzione fissare annualmente i giorni di festività nazionale, civili e religiose, e le date di svolgimento degli esami di Stato. C) È invece di competenza di ciascuna Regione, stabilire per tutte le scuole del proprio territorio, inizio e termine delle lezioni, delle vacanze natalizie e pasquali, e altri momenti di sospensione delle attività didattiche. D) Le singole istituzioni scolastiche possono deliberare adattamenti minimi del calendario scolastico regionale. Qual è il nuovo quadro istituzionale dove è inserita la scuola? Il nuovo modello ha trasferito funzioni, dall’amministrazione centrale e periferica della Pubblica Istruzione alle stesse istituzioni scolastiche. Le scuole hanno visto riconosciute la propria soggettività nella definizione di discipline e attività di insegnamento, mentre il Ministero ha ridotto il proprio ruolo ad una competenza di carattere generale nella definizione degli obiettivi di apprendimento. Il superamento del centralismo dell’Offerta Formativa uguale per tutti, ha permesso di puntare ad una scuola più attenta ai processi di apprendimento, attraverso il curricolo e la personalizzazione dell’insegnamento. Ogni scuola o istituto possiede la capacità di rielaborazione del Piano dell’Offerta Formativa (POF) . Il POF è quindi un disegno organico di interventi in materia didattica, organizzativa e gestionale, presenti sia nelle attività scolastiche sia extrascolastiche. Le finalità e gli obiettivi sono perseguiti in rapporto ai bisogni e agli interessi differenziati, sulla base della conoscenza e comprensione delle effettive esigenze di cui sono portatori gli alunni, i genitori e la società. Il P.O.F. resta uno strumento di programmazione aperta, adattabile a nuove esigenze e diversi orientamenti che dovessero emergere nelle scelte di politica scolastica. Importante per il successo del Piano sono, da parte di tutti i soggetti interessati, la flessibilità, l’adeguamento degli obiettivi di formazione con i tempi dedicati alla prassi progettuale e metodologica. Ora,che cosa ha a che fare tutto questo con il posticipo della apertura dell’anno scolastico? Lo strumento di programmazione aperta e flessibile (POF) coincide sia con ripartizione dell’anno scolastico in trimestri o quadrimestri sia con la scansione dell’orario giornaliero. Per ogni anno scolastico orario e ripartizione sono fissati dal Collegio dei Docenti nel rispetto della normativa vigente. Posticipare la data di apertura delle scuole significa incidere, quindi, direttamente sui tempi di realizzazione del Piano dell’Offerta Formativa ed, indirettamente sugli interventi didattici presenti nelle attività scolastiche. Anche in Germania ci sono 200 giorni scolastici come in Italia. D’estate ci sono 6 settimane di ferie che iniziano fra i primi di luglio o al massimo a metà agosto. Le date variano da Land in Land e da anno in anno. In autunno ci sono altre due settimane di ferie, a Pasqua ci sono tre settimane, a Pentecoste una, a Natale due. ma anche questo varia da Land in Land. Non ricordo di aver mai letto, nel dibattito politico tedesco (Internet ci permette di tenerci costantemente informati) di proposte relative al posticipo della data di apertura dell’anno scolastico per scopi turistici. Forse, ogni tanto, anche i tedeschi possono insegnarci qualcosa.

Lettera aperta (2009) al Sindaco sui nubifragi che hanno colpito Jesolo. Spunto "utile" per l'assessore all'Ambiente? Leggendo pagina 8 del giornale dell'Amministrazione Comunale (novembre 2010, "Verso il Piano delle Acque"), sembrerebbe di si....

Egr. Sig. Sindaco,

leggo dal Gazzettino di sabato 15 novembre 2008, pag. XVIII, una sua dichiarazione: “Il nubifragio che ha colpito la nostra città è da considerarsi per durata e dimensioni un fenomeno eccezionale della cui responsabilità non può esserne fatta carico l’Amministrazione Comunale. Il fatto che varie parti di Jesolo siano state oggetto di allagamenti è la testimonianza più forte di come non è ascrivibile ad un singolo intervento o ad una singola disfunzione la responsabilità dell’accaduto. In questi casi, dov’è la natura a farla da padrone, non ci resta che metterci a disposizione dei cittadini colpiti da questo straordinario nubifragio ed attivarci per vedere riconosciuta la nostra città come area colpita da calamità naturale e sperare di poter attingere ai fondi regionali per rimborsare i danni subiti”. Tra i tanti titoli & titoloni (e articoli) di giornale mi sarebbe piaciuto scrivere: "L’Amministrazione non aspetta le piogge". Sottotitolo:Le fogne non possono reggere piogge così intense”. Alcune ore di pioggia mettono in ginocchio Jesolo e tra i residenti è tornato l’incubo alluvione. Jesolo come Venezia? Ma qui c’è poco di romantico. Con il primo acquazzone mi sono ritrovato, con l’auto a mollo. Strade inondate di acqua, pedoni costretti a transitare con tanto di stivaloni, negozi allagati, scantinati e garage inagibili. E sì, Jesolo città di mare abituata all’acqua salata però, più che a quella piovana. Sarebbe stato davvero pittoresco vedere i cosiddetti “mosconi”, le tipiche imbarcazioni leggere usate dai turisti, navigare lungo le strade allagate e per questo impraticabili per le auto. …. Questa è delle tante scene climatiche a cui ci dobbiamo abituare (non ricordo bene il periodo, ma anche durante l’estate si è verificato un evento simile). I capricci del clima non sembrano più passeggeri. Si stanno modificando i percorsi delle grandi masse d' aria e delle correnti oceaniche. Ne derivano cambiamenti di ordine generale che hanno effetto anche a livello locale. Siamo in novembre. Non è piovuto di più, anzi in generale ha piovuto poco: è però mutata l' intensità delle precipitazioni. In passato si avevano precipitazioni che nel giro di qualche ora depositavano una massa d' acqua tra i 20 e i 40 millimetri. Ora la massa va spesso dagli 80 ai 110 millimetri, insomma il coefficiente sembra cresciuto tre volte...Con quali conseguenze sulla città? Le reti fognarie sono state sicuramente progettate per masse inferiori d' acqua. Quindi gli allagamenti diventano inevitabili. E non solo perché le caditoie delle fogne sono a volte otturate dagli aghi di pino (una scusa in più per “segarli”? Oppure continuiamo ad appoggiarci al lavoro, volontario e casuale, di cittadini che, con scope e bastoni, cercano di liberare le caditoie?).Le fogne non ce la fanno proprio a smaltire tutta quest' acqua. Più precisamente chi ha progettato (quando? Dieci? Vent’anni fa?) il sistema fognario è chiamato oggi a fornire una nuova stima della portata che la fognatura è chiamata a smaltire. I parametri che più interessano per un corretto dimensionamento sono il valore medio e quello massimo di tale portata. In genere la condotta fognaria va dimensionata sulla base della portata media in base alla quale vengono disegnate le sezioni nel rispetto dei parametri di velocità ammissibili durante il funzionamento "a regime", ma deve essere in grado di smaltire senza problemi anche quella massima senza tracimare dai pozzetti intercalati lungo il percorso.
Sinteticamente: Non occorreva certo aspettare le piogge  per predisporre piani di intervento sulle fognature, dove la situazione è stata più difficile, tenendo conto che in quei luoghi non è solo questione di manutenzione, ma ci sono alcuni problemi strutturali. E, non mi pare (mi corregga, naturalmente, se mi sbaglio) che, scorrendo il piano degli investimenti per opere pubbliche, siano stati progettate, in passato, estesi rifacimenti di fognature. La natura può naturalmente farla da padrone: ciò non toglie, però, che l’articolazione di un piano di emergenza (prevenire i danni si può…) hanno un carattere scientifico: e, come tale, non possono avere un impostazione generalista ed approssimativa. Il piano, assumendo una veste scientifica precisa, parte da un’analisi del territorio che solo enti dotati di uffici tecnici o di cultura tecnico scientifica calata nel territorio possono realizzare. Se mi permette, vorrei darle alcuni spunti per tutti gli approfondimenti che lei e la sua Giunta riterrà più opportuni:
Sul piano tecnico (Assessorato ai Lavori Pubblici):
1) varare un Piano straordinario di manutenzione delle caditoie e della rete fognaria nei punti critici. Ricognizione su altri eventuali problemi strutturali per i quali – se necessario – verranno approvati gli opportuni progetti.
2) mappatura, insieme ai tecnici dell’Ufficio Tecnico comunale e dell’ASI, delle aree ad alta criticità;
3) le reti fognarie realizzate in passato erano essenzialmente di tipo misto (raccoglievano acque reflue e meteoriche) . Negli ultimi anni si sta procedendo alla separazione delle reti in bianche (acque meteoriche) e nere (acque reflue) per ridurre l’inquinamento, ottimizzare il funzionamento dei depuratori  (con altrettanto ovvi benefici per le utenze in termini di costi) e favorire l’immissione delle acque meteoriche in acque superficiali;
Sul piano politico- istituzionale:
1) verificare la regolare esecuzione delle opere fognarie  in conformità al progetto edilizio approvato : in tal senso dovrà essere emanato dal Consiglio Comunale un regolamento di servizio riguardante la fognatura urbana;
2) già da settembre 2008 andava approvata una mozione bipartisan  del consiglio comunale che avrebbe dovuto affrontare il problema delle precipitazioni estive. Tale mozione avrebbe dovuto impegnare il Comune ad accelerare l’adozione di un Piano delle acque (Assessorato all’Ambiente) ed interventi all’impianto idrico e fognario;
Sul piano operativo (aspetto di competenza del Sindaco, dell’assessorato di protezione civile. La legge, come lei ben sa, riconosce al Sindaco, quale autorità locale di protezione civile, un ruolo di attivazione, direzione e coordinamento dei primi soccorsi alla popolazione, oltre al ruolo fondamentale nella fase di prevenzione) :
a) possibilità di emissione di un avviso meteorologico nelle 24-48 ore precedenti;
b) conseguente attivazione di uno stato di preallarme alle strutture operative locali, in corrispondenza di un livello di moderata criticità;
c) costante monitoraggio dello svolgersi dell’evento metereologico, attraverso sistemi di monitoraggio ambientale, meteo-idropluviometrico e di controllo del territorio;
d) dispiegamento in tempo utile di tutte le forze di protezione civile (ma perché il personale delle cosiddette partecipate e gli agenti di Polizia Municipale non viene utilizzato nell’ambito della protezione civile?)  sul territorio interessato, con la conseguente messa in opera di misure di difesa e di prevenzione.

Un tour dell’Assessore tra i lavori pubblici. L’ADC chiede che l’Assessore ai Lavori Pubblici e alla viabilità inizi una serie di sopralluoghi in città per sentire gli abitanti e rispondere ad esigenze e problemi.

“Esiste una percezione sociale del ruolo di assessore che non può essere evitata: l’investimento di  denaro pubblico lo colloca al di là della semplice formulazione di un programma triennale di opere pubbliche. Il benessere sociale ed economico di jesolo,  quale realtà importante e complessa, è strettamente correlato con la funzione svolta dagli assessori, che con la loro capacità di scoprire, combinare, trasformare e valorizzare risorse pubbliche e private realizzano vere e proprie occasioni di sviluppo per la collettività. E’ necessario, quindi, che un assessore non faccia riferimento al solo programma di opere pubbliche (dal quale dovrebbe trasparire, peraltro, priorità e crono programma delle opere da realizzare in funzione di precisi obiettivi di miglioramento delle attività umane) ma, al contrario,  in funzione di una propria agenda politica. Partendo dall’osservazione che il processo di formazione dell’agenda implica discussione, dibattito e persuasione tra politica e cittadini, tra politica ed interessi economici e sociali, è evidente che questa rappresenti tutti quei problemi che vengono comunemente ritenuti degni di attenzione pubblica. Si compie, quindi, un errore di valutazione quando i problemi vengono solamente presentati come problemi tecnici piuttosto che come questioni di natura sociale ed economica: l’assessore può senza dubbio dominarne l’aspetto decisionale ma non può verificarne le implicazioni etiche, sociali ed economiche (nonché politiche) del proprio operato. Il momento chiave della formazione di un agenda politica è perciò la raccolta e l’elaborazione di centinaia di informazioni (suggerimenti, proteste, affermazioni ecc.) che secondo alcuni cittadini dovrebbero essere di interesse e riguardo a cui, poi, il governo amministrativo di questa città dovrebbe fare qualcosa. E’ così, poi, che l’agenda politica diventa agenda istituzionale. In altre parole: l’agenda politica è un’agenda di discussione mentre l’agenda istituzionale è un agenda di intervento che influisce, poi, sul piano triennale delle opere pubbliche. A me pare che, negli ultimi anni, senza togliere merito ad alcuno, sia stato fatto poco lavoro pratico sull’agenda politica: ciò può aver determinato, inevitabilmente, l’incapacità di controllare l’interpretazione della discussione del problema . Con ovvi riflessi sia nella progettazione sia nella trasformazione dell’esistente. Consapevolmente e responsabilmente, ADC (ALLEANZA DI CENTRO) non vuole entrare nel merito dell’operato dell’assessore: la politica in una prospettiva di  alleanza di governo per la città prevede un ruolo costruttivo nel quale deve essere delineato il metodo (non quindi la sostanza) con il quale si affrontano i problemi. Come coordinatore mi sento interpellato responsabilmente. La proposta di un agenda politica diventa, a nostro modo di vedere, decisiva e improcrastinabile. Un tour della città da parte dell’assessore diventa perciò una modalità importante per capire se quello che è stato realizzato risponda alle esigenze dei cittadini . Ciò significa non solo avvalorare quanto di positivo è stato fatto ma anche affrontare i nodi irrisolti (penso alle piazze e alla viabilità, ad esempio)”.

domenica 21 novembre 2010

Lettera aperta al Presidente AJA sull'uso dei dati statistici.UNA PREMESSA PER UN AGEVOLE INTERPRETAZIONE.

Gent.le Presidente AJA,

il tema di questa lettera "aperta" potrebbe anche essere: come si può riuscire a "riformare" la politica dal basso? La domanda trova sicuramente una "sostanza" nelle riforme "federali" che verranno approvate. Ma a regioni "federali" corrispondono entità locali (leggi comuni) la cui governance macroeconomica dovrà necessariamente esprimere una propria capacità dialettica di sviluppare il territorio (e con esso le risorse) amministrato. Ma per definire indirizzi e programmi di natura economica e sociale, non potrà fare a meno di dati statistici elaborati localmente. Quali possano essere le implicazioni per i gradi di libertà riguardanti le scelte politiche locali, è abbastanza evidente. Porrà automaticamente dei limiti alle politiche fiscali e strutturali, darà le giuste coordinate per lo sviluppo turistico e sociale. In pratica, non si potrà fare programmazione senza aver definito le linee di intervento (obiettivi) anche a livello statistico. Il tema è importante e non va (mi auguro) sottovalutato.

CARITAS IN VERITATE : Riflessioni sull'ultima enciclica di Benedetto XVI

L’Enciclica “Caritas in veritate” non è solo un do­cumento che si limita a denunciare le cose che non vanno, ad in­dicare cioè i mali e i disagi di questa fase storica, ma, al con­trario, individua le cause specifiche e suggerisce le linee di intervento su cui muoversi per risolvere i problemi stessi. In questo senso è un’Enciclica proposi­tiva: contrariamente a chi la vuole intendere in modo di verso, questa Enciclica non è “di denuncia” e nep­pure un’Enciclica che fa riferimento ad op­zioni di natura morale. Si può dire, invece che intervenga nel campo specifico dell’economia. La se­conda grossa novità del documento è il linguaggio e le cate­gorie di pensiero. Per chi la voglia leggere attentamente, senza paraocchi, si può co­gliere anche una pro­spettiva al discorso economico-sociale:
il Papa compie un’operazione impor­tante che non potrà avere delle conse­guenze nel prossimo futuro. C’è , infatti, una presa di posi­zione, su importanti questioni economi­che. L’intenzione espli­cita del Papa è quella di svolgere una rifles­sione sulla cosiddetta “economia di mer­cato” alla luce dei principi della dottrina sociale della Chiesa, “più antichi della chiesa stessa”. E non è il solito discorso dal quale trarre la solita considerazione (frutto di confusione) per la quale un ad politico dichiaratamente cat­tolico (che  dovrebbe quindi ispirarsi alla dottrina sociale della Chiesa) si impongono come unici valori le­gittimi quelli econo­mico-materiali. Gli “ideali” possono at­tendere, ma non la realtà. Le necessità più impellenti sono di natura economica. Il problema sull’unico valore legittimo (quello economico-materiale) scompari­rebbe alla luce di con­siderazioni storiche: l’economia di mercato nasce prima del capi­talismo, e nasce esattamente per il bene comune. E l’idea del bene comune è uno dei principi della dottrina sociale della Chiesa che esiste da sempre. È evidente che se passa l’interpretazione per la quale l’economia di mercato si identifica con il capitalismo, ov­vero quello che gli imprenditori avreb­bero inventato,  allora è ovvio che ci sia una “levata di scudi”, una presa di posizione (anche politica) nella quale la Chiesa di­venta (come effetti­vamente è) univer­sale: non si deve quindi legare all’economia di mer­cato, in quanto cosa “diversa”. Il problema è un altro: riguarda il modo con cui si orga­nizza l’economia di mercato - e la Chiesa lo ha sempre chiarito - deve tener conto delle matrici economi­che, culturali e delle tradizioni del proprio Paese .Un cattolico sa perfettamente che la funzione propria dell’economia è ga­rantire il bene co­mune. Qualche altro cattolico “secolariz­zato” pensa al mer­cato come ad un mer­cato esclusivamente “capitalista”. Ma non è vero che ci debba es­sere solo un mercato di questo tipo”. Di qui il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella dire­zione, segnata da san Paolo, della « veritas in caritate »(Ef 4,15) : la carità  va com­presa, avvalorata e praticata nella luce della verità. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da ri­empire arbitraria­mente. È il fatale ri­schio dell'amore in una cultura senza ve­rità. La verità libera la carità dalle strettoie dell’arbitrio delle emozioni. Un Cristia­nesimo di carità senza verità può venire fa­cilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza so­ciale, ma marginali. Senza la verità, la ca­rità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costru­zione di uno sviluppo umano di portata uni­versale, nel dialogo tra i saperi e le ope­ratività.La verità “tocca” ine­vitabilmente la giusti­zia. Ubi societas, ibi ius: ogni società ela­bora un proprio si­stema di giustizia. La carità va sempre oltre la giustizia perché è manifestamente il suo scopo, il suo obiettivo  (amare è donare, of­frire del “mio” all'al­tro). La carità  non è mai senza la giustizia:  non posso « donare » all'altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli com­pete secondo giusti­zia. Chi ama con ca­rità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è « insepara­bile dalla carità » in­trinseca ad essa. La giustizia è la prima via della carità. In una parola, Caritas in ve­ritate non è una pro­vocazione nei con­fronti della società. Al contrario. Ripropone  elementi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa dinanzi alle nuove “provoca­zioni” del mondo contemporaneo; si presenta come una proposta valida e per­seguibile . L'enciclica Caritas in veritate è quindi straordinaria per innovazione e progresso nel di­battito economico. Supera il dilemma tra mercato e Stato, can­cella le ideologie con­trarie allo sviluppo (comunismo ed ecolo­gismo) , ristabilisce la centralità della per­sona e della famiglia nel progresso delle nazioni . La Caritas in veritate, cancella tutte le ideologie anti-svi­luppo, spiegando in dettaglio che l'avan­zamento umano e in­tegrale è vocazione ed è parte del disegno di Dio. Lo sviluppo che inquina, la necessità della decrescita, è solo retorica. Il se­condo punto dell'enciclica sta nella spiegazione che le politiche anti-vita e le ideo­logie relativistiche che l'hanno accom­pagnate sono le cause principale della crisi. Politiche e ideologie che hanno prodotto un disastro sociale misurabile in almeno un miliardo di giovani in meno (le Nazioni Unite calco­lano che avvengono almeno 45 milioni di aborti legali ogni anno negli ultimi 25 anni). Questo significa una riduzione radicale di tutti i progetti di svi­luppo ed aumento conseguente dei costi, soprattutto per quanto riguarda le tasse, il sistema sa­nitario, del welfare e pensionistico. L'idea di supplire all'inverno demografico incre­mentando l'immigra­zione (decisivo il pas­saggio nel quale l’enciclica supera il concetto buonista della generica solida­rietà: troppo limitativo perché non impegna integralmente la co­munità umana e la Chiesa nel prendersi cura dell'altro. ) sta penalizzando i paesi in via di sviluppo e cre­ando notevoli pro­blemi di integrazione. L'enciclica ribadisce in maniera forte e chiara che non ci può essere sviluppo economico e sociale senza crescita demografica e soste­gno alla famiglia na­turale. In particolare, si spiega che tutto l'approccio allo svi­luppo deve ripartire da un concezione an­tropologica che metta la persona e la fami­glia al centro di ogni priorità. Un altro punto su cui l'enci­clica è innovativa riguarda la que­stione ambientale. Nessun documento del magistero aveva mai denunciato in maniera così esplicita l'ideologia verde che ha tentato di cancel­lare il Creatore e di ri­durre l'umanità ad un valore inferiore a quello di flora e fauna. Le parole utilizzate dalla Caritas in veri­tate sono chiarissime nel respingere l'am­bientalismo e nel promuovere l'ecologia umana. Stupisce ol­tremodo vedere che, nonostante i continui appelli al voto catto­lico, nel dibattito pro­grammatico del Par­tito Democratico, nes­suno - ma proprio nessuno - abbia fatto riferimento all'enci­clica sociale di Papa Benedetto XVI. Mi au­guro che l’On. Matteo Colaninno (ospite della tavola rotonda) apra un dibattito an­che nel centro-sini­stra.

Walter Luvisotto
Coordinatore
ALLE­ANZA DI CENTRO
 Jesolo-Cavallino Treporti

95 anni fa, La Leggenda del Piave ricordava con emozione il sacrificio di tanti italiani. Ancora oggi ‘La Leggenda del Piave’ è sempre attuale.Lettera Aperta al governatore Zaia

Mancano pochi giorni all’anniversario del 4 novembre. Il corso del fiume Piave segnava la 'divisione' fra i territori occupati dall'invasore austriaco e quelli in mano agli italiani, nei quali venne organizzata la grande controffensiva che, denominata "Battaglia del Piave"(con ciò si intende quel complesso di azioni di contenimento e di difesa prima e di contrattacco poi, che si susseguirono dal novembre 1917 all'estate 1918), culminò nella battaglia finale di Vittorio Veneto. Chi non ha mai sentito, almeno una volta, “La Canzone del Piave”? “Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio….”: è sicuramente una delle più celebri canzoni patriottiche . La Canzone del Piave contribuì anch’essa alla vittoria finale perché sortì un formidabile effetto sul morale delle truppe italiane e della popolazione civile. Con il suo tono gagliardo ed entusiasta (una volta Bossi affermò con sincerità che assomigliava alla Marsigliese e che la preferiva all’Inno di Mameli) , essa contribuì a risollevare la speranza in un esito positivo del conflitto. Questi versi, furono l’inno nazionale non ufficiale della Repubblica Italiana. Vorrei citare un interessante articolo pubblicato sul quotidiano Il Piave, in data venerdì, 8 Dicembre 2006. “…Giovanni Gaeta (Napoli 5 maggio 1884 –24 giugno 1961) in arte E.A. Mario è l’autore di questo inno (La Leggenda del Piave). Egli, nel 1946, fu invitato a Roma dal presidente del consiglio Alcide De Gasperi. Lo statista sondò la possibilità che Gaeta componesse un nuovo inno che implicitamente avrebbe dovuto essere l’inno della Democrazia Cristiana. Come viene detto nel libro “IL CERCHIO di Franz Maria D'Asaro” De Gasperi aggiunse che sarebbe stato felice di poter raccomandare “la Leggenda del Piave” come inno ufficiale della Repubblica d’Italia al posto dell’inno di Mameli che come è noto fu “momentaneamente” scelto il 12 ottobre 1946 come inno provvisorio d’Italia in attesa della conferma di quello definitivo. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 l’inno del Piave fu a furor di popolo usato come inno nazionale al posto della precedente Marcia reale, l’inno d'Italia dal  1861, fino ad appunto il 12 ottobre 1946.
G. Gaeta sospettoso e dal sensibile intuito, ebbe il presentimento che fra le parole del cordiale discorso di De Gasperi si celasse la sostanza di uno scambio di favori, un accordo non sentito, quindi si dispiacque rivolgendosi allo statista con queste parole "Eccellenza, io sono molto onorato di sentirmi prescelto con tanta fiducia per un così prestigioso incarico e sarei ben lieto, anzi felicissimo di aderire al suo cortese invito,se non ci fosse un piccolo ma per me fondamentale particolare ad impedirmi di scrivere un inno su ordinazione Vede, eccellenza, io le canzoni le scrivo con il cuore. Non se ne fa niente".

Incredibile, senza nulla togliere all’inno di Mameli, che solo il 17 novembre 2005, quindi addirittura quasi 60 anni dopo, il Senato abbia approvato il decreto legislativo che l’ha reso ufficiale, fissandone anche testo e musica. Da notare che pur amatissimo dagli italiani, anche nel 2005 fu difficile prendere la decisione definitiva, perché molti amavano di più “La leggenda del Piave” e molti altri ancora il “Va pensiero” del Nabucco di Giuseppe Verdi.
Una contrapposizione tra differenti sensibilità si sarebbe detto allora. Oggi la contrapposizione  sarebbe letta come una sorta di battaglia sul “federalismo musicale”. In tempi non sospetti, il presidente dell'Urpv (Unione Regionale delle Province Venete) e presidente della Provincia di Treviso, Leonardo Muraro, (comunicato stampa, Treviso 21 maggio 2010) provando a delineare alcuni scenari determinati dall'approvazione del Federalismo Demaniale, si riferì al fiume Piave chiamandolo “il primo vero fiume federalista.” Se Pontida sta alla Lombardia, il fiume Piave (verrebbe da dire) sta al Veneto. La globalizzazione amplia il senso di comunità, come difesa dall’omologazione dello Stato: le varie comunità di riferimento “ereditano” non ereditano solo il “federalismo fiscale” ma anche la consapevolezza, non astratta, della propria storia e dei propri valori. La “Leggenda del Piave”è un canto “federalista” (nonostante faccia riferimento a precisi eventi storici).  
Dalla fine della seconda guerra mondiale sono passati “appena” 65 anni. un secolo trascorso e  segnato da un'accelerazione vertiginosa di eventi, di mutamenti, greve di ideologie, di guerre. Quell’immane tragedia ,quell’insanabile tragedia ha separato il mondo di ieri dal mondo di oggi. Si è creata Tra i primi cinquant'anni del novecento e quelli successivi una frattura talmente violenta da far credere a lungo impossibile ogni speranza di ricomposizione, specialmente nel campo del costume e, quindi, della cultura, della letteratura e dell' arte. E anche nella musica. Certi canti ed inni formatisi tra fine dell'800 e gli inizi del '900, ci sembrano, talvolta, essere vissuti in uno spazio e in un tempo immani. Acquistano la dimensione della favola, della leggenda, tanto erano gli ideali estetici ed etici che ne guidavano la composizione. La “Leggenda del Piave” fu uno di quei brani
che entrò in punta di piedi in una stagione densa di eroismi romantici. Che uno o più consigli comunali del Basso Piave vogliano “discutere” sulla possibilità di intonare l’Inno di Mameli prima del consiglio stesso, può sembrare una frivola polemica in confronto dei problemi che le varie comunità del Veneto (e d’Italia) si trovano ad affrontare. Il Consigliere del PDL Lucas Pavanetto ha ragione su una questione (non da poco):  come può un poeta del passato trovare spazio nell’epoca dei “valori insani”, del materialismo cinico, nell’arida fretta di una società di “mercato”? In questa richiesta “carica di piangente nostalgia” è fatale pensare al tramonto di un’umanità sorretta da ideali e valori. Ed e fatale che tale “tramonto” si accompagni all’oblio di canzoni che hanno rappresentato quell’epoca. . Tuttavia si assiste oggi ad una rivalutazione dei sentimenti e della tradizione di una certa tradizione romantica che vuole riacquistare il loro significato originale. E’ una cosa che mi conforta, perché questo movimento può contribuire al recupero di un'epoca dove la semplicità di vita accomunava giovani educati agli stessi principi di rispetto e di parsimonia - a qualsiasi classe sociale appartenessero.  Mi chiedo sempre più spesso: perché non riuscire in qualche modo a “dare vita” a questo genere di canzoni ormai introvabile? Sarebbe bello e gratificante per tutti  “risentirle” senza alterarne il significato originale: un messaggio ai posteri, quasi un ricordo affettuoso dei nostri padri (non il solito solenne omaggio). Un modo che possa consentire a tutti,sentendo quei canti, di sentirsi attratti e incuriositi, un modo che possa far scoprire orizzonti nascosti, velati dalla nebbia del tempo ed ora finalmente svelati. La “Leggenda del Piave” non ha mai  parlato ne di conquiste ne di supremazia. Al contrario, La Leggenda del Piave dichiarava che gli italiani non erano adatti alla guerra di conquista:  il Piave dava loro il luogo e l’occasione di “fare” una guerra in quanto aggrediti. Dopo la prima guerra mondiale il sentimento nazionale di questa canzone fu sequestrato dal fascismo (la “vittoria mutilata” fu una delle questioni che determinò la nascita del fascismo). Per questo motivo, credo,  dovremmo restituire agli italiani, ma anche e soprattutto ai veneti,  il senso di un sincero sentimento di appartenenza. A  distanza di 95 anni questa canzone è sempre attuale. L’Italia, il Veneto non ha Stati nemici sulla carta, ma affronta quotidianamente problemi difficili, spesso insormontabili. La rissosità dei partiti non è stata sostituita dalla leale e dura lotta per la soluzione dei problemi.
Le relazioni ufficiali tra partiti, istituzioni e cittadini sembrano diventare sempre più precarie. I cerimoniali di regione ed enti locali hanno,fino ad ora,  rappresentato, spesso e volentieri comportamenti formali: una tutela della correttezza dell’immagine Istituzionale. Un’ attività di relazione e di rappresentanza va, però, assumendo un ruolo importante e i suoi campi di applicazione vanno sempre più ampliandosi. Fino a rappresentare valori turistici, storici e sociali del territorio. Non a caso, la provincia di Treviso ha realizzato specifici itinerari  turistici.  Secondo il cerimoniale ufficiale, le «regole scritte e non scritte» prevedono che normalmente dell'inno di Mameli sia eseguita solo la prima strofa senza l'introduzione strumentale. Dal 1970 inoltre ogni esecuzione dell'inno nazionale dovrebbe essere accompagnata da quella dell'inno europeo (l’Inno alla Gioia della Nona sinfonia di Beethoven). La proposta che vorrei farle è la seguente: potrebbe essere inserito, nel cerimoniale ufficiale della regione veneto anche l’esecuzione della “Leggenda del Piave”come inno del Veneto?

Lettera aperta al Presidente AJA sull'uso dei dati statistici.

Egr. Presidente AJA,
non avendo dati statistici inoppugnabili né un analisi dei dati di bilancio delle aziende alberghiere, mi limiterò a svolgere una serie di ragionamenti, forse inutili nel vano tentativo di inseguire la verità, spero, in ogni caso, utili per aprire un dibattito politico costruttivo tra le forze politiche e quelle economiche. Come ebbe a scrivere un famoso statistico italiano dei primi del „900 :”La verità è verità, e giova a tutti di conoscerla. La statistica dev'essere qualche cosa al di sopra dei partiti, ed estranea affatto alla politica (...) Non è a scopo di polemica che si fanno le statistiche e si forniscono gli elementi per esse. Gli uomini ... dovrebbero penetrarsi dell'idea che il contribuire alla statistica è una specie di funzione pubblica, un atto da buon cittadino, affinché governo e privati possano illuminarsi reciprocamente".
Stagione record per presenze...gli stranieri sono ritornati in Italia....TG5 ore 20.30 del 20 luglio.
Nel comunicato stampa, disponibile nel sito del Comune, si legge:
I DATI STATISTICI CONFERMANO LE POTENZIALITA’ DI JESOLO L’AMBITO HA FORNITO LE STATISTICHE UFFICIALI DELLA STAGIONE 2010 Dati statistici, Jesolo dà una forte risposta alla crisi e, soprattutto con l‟alberghiero, traina la sua economia. L‟Ambito Territoriale di Jesolo, dell‟Apt della Provincia di Venezia, ha comunicato i dati statistici della stagione 2010, che comunque ancora attendono, per la chiusura ed una valutazione complessiva, il mese di settembre. C‟era curiosità e preoccupazione, dopo i segni negativi dei mesi di maggio e giugno, determinati in particolar modo dalle condizioni meteo che hanno contrastato la ripresa. Ed invece le indicazioni sono più che positive, soprattutto in considerazione del fatto che i mesi centrali dell’estate, luglio e agosto, quelli che risultano determinanti dal punto di vista finanziario, da valutare molto di più delle cifre relative alle presenze, hanno fatto registrare dati più che positivi. Considerando che, con le sue quasi 400 strutture ricettive, il comparto alberghiero rappresenta la principale forza economica del territorio, ecco che i dati emersi confermano la tenuta della località e gettano le basi per il futuro prossimo. Nel complesso (valutando cioè il periodo gennaio-agosto e sempre per l’alberghiero) c’è stato un segno positivo, seppure marginale (più 0,1%) nelle presenze, nel mese di luglio un buon aumento ed in agosto una conferma rispetto al 2009. Analizzando alcuni dati nel dettaglio possiamo annotare dei segni positivi per le presenze di Austria (più 8,7%), Germania (più 4,3%), Polonia (più 21%), Svizzera, (più 4,2%) Russia (più 27,6%) mentre l‟Italia segna ancora il passo con un dato negativo (meno 3,6%).La sofferenza è stata registrata nell‟extra-alberghiero (meno 7,7%): un dato che dovrà essere valutato con attenzione e con i necessari approfondimenti. In questo comparto l‟Austria ha fatto registrare un calo del 4,2%, la Germania sostanzialmente alla pari con un meno 0,5%, la Polonia meno 16% la svizzera più 9,5% e l‟Italia meno 3,7%.
I dati complessivi, ovvero dell’intera potenzialità ricettiva della località, hanno fatto registrare un calo delle presenze di poco superiore del 2%. Quindi una sostanziale tenuta, considerando le valutazioni settoriali fatte in precedenza.
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Abito a Jesolo (da sempre considerata la seconda spiaggia d'Italia) e mi guardo attorno. Il "pieno (di pendolari, non turisti) durante il fine settimana. Ombrelloni vuoti e piazze semideserte la sera. Mi domando (ma la domanda potrebbe anche essere collettiva) : sono io ad avere una visione distorta della realtà oppure sono i dati statistici (e con esso la notizia) ad essere "distorti"? Non voglio naturalmente sostenere che bisognerebbe abolire le ricerche statistiche, ignorare tabelle e diagrammi. No, questo no. Ma (magari) guardarli con spirito critico, interpretarli, assolutamente sì. Ho la sensazione che, spesso e volentieri, la politica utilizzi i dati scientifici (spesso neanche tali) per legittimare la propria azione di governo. Alla lunga, però,spiace dirlo, si finisce con il confondere l‟astrazione della realtà per la realtà stessa, la finzione numerica messa in atto per reale sostanza: ed un politico, anche attento e acuto non può permettersi di sbagliare nell'interpretazione delle reali condizioni del paese o della città in cui vive. In questa "strana"
epoca postmoderna si sta allargando profondamente, quel divario fra percezione politica e percezione della realtà. I dati statistici possono essere e sono uno strumento utile. Ma, al solito, è necessario che siano sottomessi ad un analisi storica (che faciliti un giudizio oggettivamente coerente e responsabile) e all‟impegno etico-politico. Che siano aumentati gli arrivi o le presenze turistiche di una località importa poco alle persone che, debbono rimanere, per così dire "in aspettativa" fino all'arrivo dei "turisti",così come la "sofferenza" di alberghi e servizi turistici annessi non preoccupa affatto gli speculatori e i finanzieri più spregiudicati.
Non a caso ho voluto sottolinearne alcuni passaggi, al solo scopo (come ho già chiarito in premessa) di discussione. Ma ad ogni “uscita” statistica si viene “sommersi” da percentuali che dovrebbero pronosticare l‟andamento dell‟affluenza turistica. Eppure, come ben sanno coloro che si occupano di turismo in prima persona, l’andamento dell’affluenza non è più realmente pronosticabile, neppure a breve termine. Quando parliamo di statistiche è necessario fare però alcune considerazioni: prima fra tutte che le classificazioni che propone il mercato sono diverse da quelle elencate dall’ Istat ed anche da quelle giuridico amministrative delle diverse regioni. Federalberghi, approfondisce quest’aspetto in modo chiaro. Ci spiega, infatti, che a fronte di un allargamento delle tipologie ricettive utilizzate dalla clientela dovrebbero essere identificate quelle che si caratterizzano per rappresentare, comunque, una gestione di tipo alberghiero. Il mercato e le classificazioni internazionali, che non valutano le diversità giuridiche e tipologiche esistenti nei vari paesi, e tantomeno le diversità fra singole regioni, seguono propri criteri e considerano i grandi gruppi alberghieri includendo nel numero delle strutture e delle camere anche i residences, i villaggi turistici, gli alloggi agrituristici e altri ancora a condizione che siano caratterizzati da gestioni di tipo alberghiero, cioè da una reception, dalla presenza di un servizio di pulizia e di riordino e dalla possibilità di ristorazione. Si parla ormai sempre più frequentemente di centri o villaggi vacanza o, anche di resort, per indicare, appunto, un insieme di strutture ricettive, dal villaggio e dal campeggio, all’albergo ed agli appartamenti per vacanza, integrate con opzioni per il soggiorno ed il divertimento come teatri, centri benessere, tennis, vela, diving ecc. È questo un fenomeno che riguarda sia la destinazione Italia, specialmente per la sua caratterizzazione balneare e montana, sia le destinazioni estere che gli italiani scelgono per le loro vacanze. Anche l’osservatorio Nazionale del Turismo si accorge di altre mancanze, in questo caso di alcune tipologie di attività ricettive che sfuggono totalmente alle rilevazioni ufficiali di presenze statistiche: è ipotizzabile, ad esempio, che le presenze nelle abitazioni private rappresentino un universo di dimensioni pari o superiori a quello rilevato ufficialmente. Ci si potrebbe forse consolare anche col fatto che per quanto concerne i consumi turistici sono considerate solo le voci di spesa relative all‟alloggio e alla ristorazione. In realtà la spesa turistica è ben più ampia e trasversale a tutti i settori economici. Dai dati Unioncamere si stima, infatti, che per ogni euro speso nella ricettività se ne contano altri 3 in tutti gli altri settori economici. In questo modo il turismo è contato solo per un quarto della sua reale ricchezza che apporta ai territori. Vi sono poi le statistiche ad occhio (quelle che, ironicamente, “piacciono” al sottoscritto, fonte continua di polemica ed inutili talk show mediatici): se a fine agosto qualcuno canta vittoria, vantando milioni di turisti nella propria città, qualcun altro ribatterà che sulle spiagge, al 4 di agosto, non c‟è un‟anima, a parte, ovviamente, gli indigeni. Sul piano nazionale, il panorama delle informazioni sul turismo appare ancora frammentario e insufficiente a soddisfare appieno le esigenze informative, sia a livello locale che a livello nazionale. Come storicamente evidenziato, è di fondamentale importanza che le statistiche del settore si sviluppino armonicamente. A tal fine risulta necessaria, quale condizione imprescindibile, una collaborazione efficace fra produttori di dati ed utilizzatori. e produttori. Un aspetto che mi lascia interdetto, è la totale mancanza di una qualche correlazione tra e programmazione e gestione turistica complessiva della località ed il dato statistico ipotizzato come obiettivo da raggiungere. Gestire una località nel suo complesso significa conoscere le sue risorse interne e l'ambiente esterno nel quale essa opera. L'ambiente esterno si trasforma in continuazione e bisogna conoscerlo bene se no sarà difficile tradurre le sigenze di mercato in politica prima ed in Amministrazione, poi. La gestione amministrativa di una località deve essere quindi programmata nel tempo e usare conoscenze e strumenti che aiutano a stabilire dove si vuole arrivare (obiettivi) e che cosa fare per arrivarci (strumenti) per raggiungere gli obiettivi. Alla base del processo di programmazione vi è , quindi, un processo di previsione delle condizioni future. Programmare significa definire gli obiettivi da raggiungere, le strategie da mettere in atto per raggiungere gli obiettivi, gli strumenti necessari per attuare le strategie e raggiungere gli obiettivi. Collegare, però, un risicato dato statistico (anche se positivo) alle “potenzialità” turistiche della località, significa esercitare una suggestione talmente forte che nessuno riesce a sottrarsi all'idea che una simile raccolta di numeri sia necessariamente legata alla volontà di dimostrare qualcosa che procede positivamente anche al di là della crisi economica. Come Alleanza di Centro vorremmo che i risultati finanziari delle imprese alberghiere non venissero “sottratti” alla statistica. Vorremmo, in sostanza che si ricorresse anche alla valutazione del RevPAR, un modo semplice per valutare le entrate che un'azienda o una serie di aziende alberghiere. Il dato incorpora infatti sia l'occupazione sia i prezzi delle camere: un barometro della salute di un‟attività alberghiera. E sostanzialmente di tutta la località turistica. Il calcolo del RevPAR è abbastanza semplice (mi corregga se ho sbagliato qualche conto). Basta dividere i ricavi totali generati in un periodo per il numero di camere disponibili. Per esempio, supponiamo che le una albergo gestisca 50 camere per un periodo di 100 giorni (operativamente il periodo stagionale estivo). Le camere,ipotizziamolo, sono state occupate per il 75% a un prezzo medio giornaliero di € 120 (camera doppia).
Le entrate totali per i 100 giorni sarebbe stato calcolato come segue: 50 stanze x 100 giorni x 120 euro ADR x 75% di tasso di occupazione = € 450.000.
Quindi, il numero totale di camere disponibili sarebbero 50 x 100 giorni = 5000.
Infine, dividendo 450.000 euro in ricavi per 5.000 (tot. Camere disponibili) si ottiene un RevPAR ovvero una cifra di 90 euro, vale a dire l'impresa ha avuto un guadagno medio di circa 90 euro per ogni stanza per notte .
Oppure, si può semplicemente moltiplicare l'occupazione del periodo per il prezzo medio giornaliero (ADR) pagano per camera: € 120 x 0,75 = € 90.
Un confronto utile tra alberghi della stessa categoria (ma anche tra alberghi di categoria diversa) potrebbe, a mio avviso, riservare delle sorprese. Immaginiamo (è solo una simulazione senza dati reali) di avere 3 aziende alberghiere (A,B,C) simili per numero di stanze, ma con diverso ADR.
Azienda
ADR
Occupazione
2010 RevPAR (variazione 2009/2010)
A
221 €
98%
217 euro (+11,3%)
B
140 €
96%
135 euro (+5,5%)
C
271 €
95%
257 euro (+4,5%)

Andrea Bafile, Eroe dimenticato?

Andrea Bafile, militare italiano, tenente di vascello della Regia Marina, insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria…. Per anni molti cittadini jesolani si saranno imbattuti , frequentando Piazza Brescia (a Jesolo) , in un busto  (dedicato ad Andrea Bafile)  posto in posizione baricentrica rispetto alla piazza,:… Bafile ?! Chi era costui? Probabilmente nessuno si è mai posto tal domanda. Anzi, molti saranno rimasti indifferenti  … Ma le cose cambiano solo quando il busto sembra “sparire” per fare posto ad una “nuova” Piazza… Ogni giorno per molti (forse oggi, pochi) quel nome, Bafile, all'apparenza così normale, rappresentava il simbolo di tutti coloro che per noi hanno combattuto soffrendo e di cui ingiustamente si è persa la memoria. Probabilmente qualcun altro, invece, si sarà chiesto che senso abbia  commemorare un personaggio come Bafile, autore di imprese più o meno condivisibili. Forse la risposta sta nella “scomparsa” (forse temporanea) del busto dalla Piazza. Già, la piazza.
La piazza, come luogo fondamentale dell’incontro e dello scambio, in cui si intrecciano cultura e storia, simboli e tradizioni:  centro vitale della città, rappresenta una sorta di palcoscenico dell’identità e del senso di appartenenza di una comunità. Uno spazio pubblico privilegiato, quindi, separato e distinto, portatore di significati culturali e di funzioni peculiari. In quanto “scena” della vita collettiva è anche costruzione “ideologica” di miti e riti della strategia del potere. La questione del rapporto tra la piazza e il potere politico nella storia di questo Paese rappresenta una sorta di “destino strutturale” degli spazi cittadini:la piazza come  luogo in cui il potere pubblico fa mostra di sé, si ostenta al popolo; la piazza, in quanto spazio “simbolico del popolo che agisce, si raduna, si riconosce e si mostra. La “conquista della piazza” ad opera delle masse popolari, innescata dalla “primavera dei popoli” del 1848, si proietterà nei decenni successivi in Italia, in particolare dopo il compimento del Risorgimento con l’unificazione nazionale guidata dalla dinastia monarchica dei Savoia. E tuttavia, nell’Italia liberale post-unitaria, sarà lungo e difficoltoso il riconoscimento di una piena legittimazione dei movimenti sociali e delle forze politiche che si propongono come “contropotere” rispetto all’assetto politico esistente. La modernizzazione tumultuosa ha trasformato tante piazze in anonime aree di parcheggio: in realtà, in questi ultimi anni di questo nuovo secolo, l’uso politico della piazza ha, in una certa misura, ripreso forza e vitalità, in quanto si è voluto “fondere” la piazza mediatica con quella reale. Si può affermare, senza ipocrisie, che l’utilizzo di architetti di fama internazionale (i cosiddetti "archistar") per la riqualificazione delle piazze italiane (in questa modernità o post-modernità che tende a mettere in discussione la memoria e la storia), si caratterizza, spesso e volentieri per la superficialità progettuale, per l’annichilimento destrutturante della loro storia e tradizione. Continuo a notare, opportunamente, una grande ansia di richiamare esigenze di etica, di valore, magari rivisitando la storia. Temo però che grandi soluzioni con questo approccio non si troveranno. Soluzioni vere si produrranno solo se si ha il coraggio di essere noi stessi testimoni di verità. Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita, come può farlo lo studente che la  ricerca con la passione dello studioso. O, come può farlo anche il rappresentante istituzionale di una comunità (sia esso il Sindaco che l’assessore o il consigliere)costantemente in comunione e comunicazione con i propri cittadini. O, ancora,il Presidente di un associazione come quella dei Marinai d'Italia. La verità quindi va cercata, trovata ma a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità. Accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale, significa far “rivivere” la libertà responsabile delle persone. Cosa, questa, di non poco conto oggi, in un contesto sociale e culturale che relativizza la verità, diventando spesso di essa incurante e ad essa restio. A Jesolo, dopo un 4 novembre in sordina, la mia domanda rimane lì, inevasa: dov’è la testimonianza di Andrea Bafile? Dove sono i cittadini jesolani e le sue istituzioni?

“ SALVIAMO I PREZZI”. Il coordinatore di Alleanza di Centro chiede al mercato di non svalutare il prodotto turistico al ribasso.

 Gli albergatori jesolani, insieme alla loro associazione più rappresentativa, l’AJA, dovrebbe rivoluzionare le proprie tattiche commerciali. Mi riferisco sia all’ormai “accettata” abitudine di molte agenzie viaggi di offrire richieste di servizi alberghieri a prezzi stracciati, sia alla volontà di alcuni albergatori di offrire camere a prezzi  estremamente bassi. La palla di cristallo, nel turismo, non serve a molto, ma, intuitivamente,  la stagione 2010 ha trasformato il pricing in un labirinto. Sarebbe interessante alzare il velo sulla questione tariffe. C’è stato un modo di affrontare la crisi che ha portato gran parte delle attività ad “incentivare” il cliente con il prezzo. Se un azienda alberghiera, storicamente,  pensava di acquisire più clienti riducendo i margini e compensando con vendite di camere maggiori, adesso si vorrebbe “educare” il cliente a comprare ad un prezzo che non è più quello reale. Per cui si potrebbe anche essere commercialmente contenti, come il Sindaco ha dichiarato, citando il dato statistico positivo frutto delle “potenzialità” della località. Un po’ meno sul lato economico. Con i prezzi al ribasso, la qualità del prodotto turistico complessivo  (o quantomeno la sua percezione) diventa piatto. Con i  prodotti turistici (leggi anche servizi alberghieri), il prezzo non lo fa più, evidentemente, ma il mercato. E il mercato fa quello che gli conviene, ovvero calare il prezzo. Aggiungo che se anche le agenzie viaggio si appiattiscono su questo meccanismo, è inevitabile che questo incida sulla distribuzione dell’offerta. Qual è allora la tattica commerciale da perseguire? Gli operatori si sono dimostrati, fino ad ora, meno ottimisti quando si tratta di parlare di questioni legate alla riduzione del prezzo. Nel settore non ci sono barriere d’ingresso a tariffe ridotte: porre un limite alla riduzione delle tariffe alberghiere non produrrebbe alcun risultato. Restano due possibili soluzioni. La prima: perseguire la strada del dialogo tra operatori turistici, agenzie viaggio e tour operator allo scopo di condividere regole comuni . Oppure optare per una segmentazione delle stesse agenzie in “livelli”, in base alla capacità di vendita. Una sorta di “classificazione” delle agenzie, forse a rischio contestazione da parte delle stesse, che lavorino, però, in funzione del volume delle “vendite” alberghiere. In questo caso, però, è necessario che tutte le aziende alberghiere facciano per così dire “massa critica”.

LA PULIZIA DEGLI ARENILI OVVERO COME VALORIZZARE E RECUPERARE IL MATERIALE ORGANICO SPIAGGIATO.

Il consigliere del PDL, Fabio Visentin , uno tra i primi ad occuparsi dei costi relativi al materiale spiaggiato durante l’ultima, devastante, ondata di maltempo  lungo tutto il litorale jesolano ha ritenuto doveroso  chiedere al sindaco Calzavara e all'amministrazione di poter beneficiare di un contributo regionale per i costi sostenuti da Alisea Spa per recuperare tutti i detriti lungo l'arenile. I dati parlano da soli: si parla di un intervento di 1 milione di euro lungo tutta la costa venezianaLo stesso Pres. Dell’Alisea S.p.A.  spiega come dall'inizio dell'anno sono state già smaltite, presso la discarica di «Piave Nuovo», oltre 4.000 tonnellate di rifiuto spiaggiato per un costo complessivo di oltre 700 mila euro, cui andranno ad aggiungersi quelle che verranno raccolte in questi giorni. Al coro delle richieste di contributi si associano anche i sindaci del litorale che vorrebbero, appunto, far inserire la pulizia delle spiagge tra i costi dell’alluvione. Senza scomodare i soliti contributi a fondo perduto, utilizzabili peraltro solo in situazioni contingenti e straordinarie, nessuno ha ritenuto di risolvere il problema dei rifiuti spiaggiati in nuove opportunità di raccolta e riciclo del materiale stesso. Questo la dice lunga sulla capacità di affrontare in modo flessibile i problemi di natura ambientale : l’aumento della tariffa di smaltimento dei rifiuti e la diminuita disponibilità di spazio nelle discariche dovrebbe costringere tutte le Amministrazioni comunali a cercare soluzioni alternative al semplice ma oneroso conferimento in discarica del materiale indifferenziato. E, implicitamente, a richiedere un contributo per evitare che lo stesso conferimento incida in maniera significativa sulla TIA. E’ però anche a tutti noto che realizzare soluzioni  in assenza di un contesto normativo specifico in materia, può portare a notevoli contraddizioni: mi riferisco alle considerazioni riguardanti lo stesso materiale  spiaggiato in alcune circostanze una “risorsa” ed in altre un “rifiuto”. Alcune indagini bibliografiche avrebbero però consentito la possibilità di verificare le modalità di gestione degli ammassi vegetali piaggiati. Per quanto riguarda più specificamente il compostaggio è utile riportare l’esperienza di Denya, comune della regione di Valencia in Spagna. Con il sostegno finanziario dello strumento LIFE Ambiente (concesso dalla Commissione Europea nel 1996 per il carattere innovativo del progetto), la municipalità di Denya, sotto la supervisione dell’Università Politecnica di Valenzia, ha realizzato un impianto di compostaggio in grado di trattare circa 15.000 mc/anno di residui vegetali. Il progetto era nato dall’esigenza di rimuovere ingenti quantità di alghe e fanerogame marine, spiaggiate in grande quantità lungo la costa della municipalità di Denya, e di smaltire rilevanti quantitativi di scarti di manutenzione del verde pubblico e privato (circa 60.000 mc/anno. Il ciclo di trattamento utilizza la tecnica del cumulo rivoltato all’aperto, con aerazione forzata: da tale decomposizione viene ottenuto un compost di apprezzabili caratteristiche agronomiche,con deboli limitazioni e ricco in oligoelementi, particolarmente indicato per impieghi nella vivaistica, negli interventi di riforestazione o di recupero ambientale. E’ solo, chiaramente un esempio di come possa essere utilizzato il materiale di natura organica. In ogni caso, da un punto di vista medio - ponderale,  il materiale indifferenziato proveniente dalle operazioni di pulizia delle spiagge risulta una miscela di RSU (<10%), materiale organico marino (>45%) e materiale inerte di spiaggia (>45%). Su circa 4000 tonn/anno di materiale indifferenziato proveniente dalla sola pulizia straordinaria degli arenili , oltre il 70% in peso è costituito da sabbia e ghiaia. Seguendo sempre le solite medie ponderali, su 100 m3di materiale indifferenziato raccolto con mezzi meccanici , un percentuale compresa tra i 35 ed i 42 m3 di sabbia verrebbe asportata dagli arenili. Inevitabilmente, la pulizia degli arenili effettuata con mezzi meccanici può causare l’asportazione definitiva di importanti volumi di sedimento dalle spiagge ed incidere negativamente sui bilanci sedimentari di spiagge, come ad esempio quella di Jesolo, caratterizzata da fenomeni erosivi. Ai fini della individuazione di una linea di corretta gestione dei detriti vegetali spiaggiati è in primo luogo fondamentale comprendere se questi debbano, o meno, essere
considerati come rifiuto; in tal senso viene fatto riferimento alla attuale normativa sui rifiuti.
- D. legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997 e relativi decreti di attuazione.
Ad una attenta analisi della normativa si osserva che i detriti vegetali spiaggiati, le piante marine e le alghe non siano chiaramente definibili come rifiuti. L’articolo 7 del D.L.22/97 (Classificazione) definisce semplicemente come urbani i rifiuti giacenti sulle spiagge ma non definisce rifiuto tutto quello che giace sulle spiagge. Negli elenchi della normativa (nazionale o comunitaria) manca alcun riferimento specifico a tali materiali come rifiuti. Tra l’altro essendo prodotto da un meccanismo naturale non si individua né un produttore né un detentore. Contrariamente a tutto questo, l’interpretazione data da esperti della materia rifiuti confermerebbe l’appartenenza alla categoria di rifiuto del materiale spiaggiato poiché, pur trattandosi di un prodotto naturale, questo avrebbe comunque terminato il suo ciclo naturale e la sua funzione, e certamente diventa rifiuto nel momento stesso in cui viene raccolto (mescolato o meno con rifiuti veri e propri). Volendo comunque accettare una visione restrittiva della normativa, le alghe sono classificabili come rifiuti urbani esterni e non, come spesso sostenuto, rifiuti speciali. Devono inoltre essere considerati non pericolosi poiché non sono presenti nell’allegato B dei rifiuti pericolosi. Quando tali materiali, frammisti ad altri chiaramente identificabili come rifiuti (oggetti plastici, contenitori, ecc.) vengono raccolti unitamente a questi, è inevitabile che vengano considerati contaminati e quindi classificati anch’essi come rifiuto. Tuttavia una raccolta mirata dei soli materiali “contaminanti” lascerebbe a terra le frazioni naturali. Sempre in relazione agli aspetti normativi, per quanto riguarda la compostabilità delle biomasse vegetali spiaggiate, è necessario considerare il D.M. 27 marzo 1998 - modificazione all’allegato 1C della legge 19/10/1984 n. 748 e s.m.i. (recentemente è stata abrogata dal Decreto Legislativo n. 217/2006) recante nuove norme per la disciplina dei fertilizzanti - che esclude la presenza “alghe e piante marine” tra i componenti degli ammendanti organici naturali (produzione di compost di qualità). Si tratterebbe quindi di materiali non compostabili per effetto della possibile concentrazione di metalli pesanti. Inoltre questi materiali non sono compresi nelle tipologie dei rifiuti compostabili indicate dal D.M. 5/2/98. Vale a dire che tali materiali sono esclusi dalla procedura semplificata di trattamento dei prodotti utilizzabili per la produzione di compost. Le soluzioni potrebbero scaturire però dall’istituzione di un tavolo tecnico predisposto dalla Provincia in funzione dell’interpretazione della normativa vigente. Una serie di linee guida basate sul principio che le biomasse in quanto elemento naturale del fragile ecosistema costiero, non possono essere considerate un rifiuto, potrebbero realizzare indicazioni tecniche e di comportamento non solo per le imprese che si occupano di asporto rifiuti, ma anche per i gestori e per coloro che utilizzano la fascia costiera a scopi ricreazionali e di lucro. Questo, ovviamente, nell’ottica di una gestione integrata e “razionale” dell’ambiente costiero. L’auspicio è che tale tavolo tecnico possa essere di riferimento alla Regione Veneto ed al Ministero dell’Ambiente per la realizzazione di una normativa specifica in materia. Va inoltre ribadito che la pulizia, effettuata con mezzi meccanici che asportano insieme al materiale antropico e vegetale anche molta sabbia, producono quantità notevoli di “rifiuti” da smaltire in discarica e provocano diversi danni ambientali sia durante la fase di raccolta che di smaltimento. L’asportazione diretta di sabbia incide negativamente sul bilancio sedimentario della spiaggia, spesso già critico per l’erosione del moto ondoso e per la mancanza di apporti di materiale fluviale, mentre l’asportazione delle biomasse in particola modo vegetali  aumenta l’esposizione della spiaggia al moto ondoso e la priva di nutrienti fondamentali per le comunità che la abitano.

Ciclo dei rifiuti: il Comune deve informare e far conoscere. “Caro Assessore all’Ambiente, senza partecipazione non si va da nessuna parte!”

Il ciclo dei rifiuti ha bisogno di una rete civica dotata di strumenti organizzativi e di comunicazione. In essa, sia in comitati di zona che tutte le associazioni iscritte all’albo comunale dovrebbero investire le loro energie ed il loro impegno. E’ importante che le Istituzioni portino tra la cittadinanza delle informazioni tecnico/scientifiche sul tema dei rifiuti e sui problemi e rischi che pone l’ipotesi di incenerimento e/o di stoccaggio in discarica. Non lo ha fatto la Regione al momento di concepire il Piano regionale dei rifiuti, non lo ha fatto il Comune al momento di varare il piano per la raccolta differenziata porta a porta. L’Assessore competente ovrebbe inoltre dichiarare, in base alle direttive europee in tema di smaltimento rifiuti, che “il trattamento termico dei rifiuti “ (leggi “termovalorizzatore”) non sarà mai sostitutivo della raccolta. La questione della raccolta differenziata fa affiorare, con grande evidenza, il problema della mancata trasparenza e della partecipazione. Infatti, mentre il consiglio comunale è impegnato a polemizzare sugli aumenti “più o meno congrui” la Giunta non provvede minimamente a far conoscere (e magari anche discutere!) il progetto di raccolta differenziata porta a porta (appena cominciato al Paese): non è ancora emerso né il piano finanziario, né il piano di estensione della raccolta differenziata. La raccolta differenziata porta a porta è cominciata a Jesolo Paese.  Ma quando sarà a Jesolo Lido, cioè nelle aree abitative nelle quali si concentrano le presenze turistiche e di conseguenza, il grosso della produzione dei rifiuti? Quanto tempo (mesi, anni) durerà, e con quali fasi e tappe, l’estensione della raccolta porta a porta a tutto il territorio comunale? E non è noto nemmeno quanto sarà investito nell’operazione e quale sarà il ricavo utile. Eppure si parla sempre della necessità di aumentare in misura notevole la Tia, magari lasciando pensare ai cittadini  che la colpa dell’aumento sia nei costi per l’avvio della raccolta differenziata o  del porta a porta. Sarebbe un bell’autogol, specialmente se vediamo che in tutti i comuni in cui si è avviata la raccolta porta a porta , la Tia è diminuita in modo considerevole. In questo quadro, il coordinamento ADC (Alleanza di Centro) di Jesolo ritiene che sia giusto ed utile che i cittadini si strutturino in rete civica: si realizza così una continua opera “di informazione e sollecitazione del dibattito”: al contempo chiede che il Comune assuma a pieno il suo ruolo e organizzi una reale, ampia opera di seria informazione scientifica , anche in contraddittorio, e di partecipazione popolare al dibattito su una questione così importante come  il ciclo integrato dei rifiuti. Prima di arrivare a conclusioni che prevedono aumenti considerevoli delle importi TIA,caro Assessore all’Ambiente, parliamone in pubblico!

"Pulire la spiaggia" o rinunciare a "Miss Italia nel Mondo"? L'enigma di una Giunta che non c'è.Lettera Aperta.

Egr. Vicesindaco,

"Se servono i soldi per pulire la spiaggia e non si trovano, o alziamo la Tia o iniziamo a prenderli,ad esempio, rinunciando a Miss Italia nel Mondo".
Questa è la dichiarazione che appare sul quotidiano LA NUOVA VENEZIA di domenica 14 novembre 2010. E, sulla stessa linea di quanto già apparso sullo stesso quotidiano il giorno precedente. Vorrei, sinteticamente, se posso, spiegarle la mia posizione, senza tuttavia "confondermi tra i favorevoli ed i contrari". La promozione turistica non è solo il consenso che può "attirare"una manifestazione conosciuta a livello nazionale, come Miss Italia nel Mondo. E'necessario che dietro la manifestazione stessa (al di là dell'enfasi derivante dagli ascolti e dallo share stesso) vi sia una strategia brillante che permetta al "prodotto televisivo"di entrare in una logica coerente con l'immagine della località. E, l'esecuzione di una strategia comunicativa non è solo il tentativo di migliorare le performance di una località (leggi presenze o occupazione camere) tramite, appunto, la scelta di un format televisivo, peraltro "datato" rispetto ad altri a maggior impatto. Perché molte  destinazioni subiscono un forte calo di visitatori? E, invece, i viaggi on-line sono cresciuti? Pochi hanno capito che non si possono controllare la quantità di viaggio per una destinazione turistica. E se non è possibile valutarlo on-line, dove il ritorno di investimenti è più direttamente valutabile rispetto ad uno share televisivo, è evidente che l'impatto promozionale ha un risultato se dietro la cosiddetta "pubblicità" vi è una solida strategia che trasformi la destinazione Jesolo in una sorta di "eroe" della destinazione, e nello stesso qualificare un qualunque albergo come una preziosa risorsa di destinazione per il cliente. L'immagine sì, ma perseguita nella coerenza del prodotto turistico offerto che non è quello, spiace dirlo, dell'illusione del "perfect day". Questo il primo ragionamento. Veniamo al secondo, direttamente collegato con il primo.  Ammettiamo che , appunto, al di là delle possibili critiche  sulla manifestazione, non vi sia un'altra strategia da contrapporre al quella fino ad ora perseguita. Si può essere delusi da una strategia, ma non si può rinunciare alla stessa "perché mancano i soldi per pulire la spiaggia". L'Amministrazione Pubblica, quale management della cosa pubblica, deve guardare al di là delle linee di riporto de delle caselle della contabilità: invece di cercare delle soluzioni per ridurre i costi di asporto rifiuti (e non aumentare così la TIA), la Pubblica Amministrazione avrebbe dovuto concentrarsi sul miglioramento dell'esecuzione della raccolta differenziata da parte della società partecipata ALISEA S.p.A. Se la stessa è orientata al micro-management e non si concentra sull'obiettivo del ciclo integrato dei rifiuti (anche per abbassare la stessa TIA alle imprese), vuol dire che la stessa società è poco propensa alla responsabilizzazione. Forte di questa consapevolezza, l'Amministrazione Pubblica avrebbe dovuto mettere a punto un nuovo modello di management che definisca esattamente chi è responsabile e di cosa , mettendo in relazione performance e ricompense o sostituzione di personale e manager: ciò obbliga gli amministratori a soddisfare determinate aspettative del pubblico servizio. Qual è allora  il significato di due posizioni in antitesi tra loro, "pro" o contro" Miss Italia nel Mondo? Mi pare evidente: invece di concentrare strategie (e risorse)  nella risoluzioni di "grandi sfide" per la città, la sfida si trasforma in quella
"canonica": trovare un "equilibrio" tra le varie componenti politiche che costituiscono il governo della città a scapito della governance della città.
In un mondo "globalizzato" la vera sfida è realizzare un percorso complessivo di crescita economica e sociale della città.