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lunedì 21 marzo 2011

TASSA DI SOGGIORNO: Importante conoscere le prospettive di riduzione delle imposte dirette.

"Amorino De Zotti, con il Presidente AJA ed il cons. Serafin (Lega) ritengono un grave errore partire, anche tra un anno, con la tassa di soggiorno e annuncia un consiglio comunale in merito. Convocare un consiglio comunale su un questione così importante significa fornire l'indicazione di una prospettiva concreta in termini di gestione delle nuove tasse comunali approvate con il decreto sul federalismo. Uscire dalla protesta generica significa, soprattutto per l'AJA, capire se il governo nazionale persegua una sua propria strategia in materia di fisco. Nei successivi decreti del governo potrebbero essere previsti una riduzione consistente della imposte dirette e progressiva, IRAP ed IRPEF, compensate da un aumento sul valore aggiunto. Spostare di miliardi l'equilibrio tra tassazione diretta ed indiretta significa però chiedere ai consumatori di sacrificarsi per promuovere la crescita produttiva , accettare un tasso di inflazione crescente, scommettendo su incrementi di salari legati agli aumenti di produttività detassati che potranno far crescere i profitti. Significa, in sostanza, "spostare"la tassazione sui consumi a fronte di stipendi più congrui. In questo senso, la tassa di soggiorno non sarebbe più un odioso "orpello"  ma una tassa sul "consumo" (presenze) turistico".

LA TASSA DI SOGGIORNO? UNO PSICODRAMMA CHE NON C’ENTRA NULLA CON IL FEDERALISMO FISCALE.

L’imposta di soggiorno come fonte di tensione istituzionale? A me pare che ci troviamo di fronte ad un vero psicodramma. L’imposta di soggiorno, agitata nell’ambito del più ampio scontro sul decreto riguardante il federalismo municipale ha rischiato di mettere fine alla legislatura (la Lega aveva annunciato che nel caso in cui il decreto sul federalismo municipale fosse stato bocciato dalla Commissione bicamerale, le elezioni sarebbero state inevitabili. In assenza di un parere da parte della bicamerale, si è fatto ricorso a una procedura di dubbia legittimità: il Consiglio dei ministri ha approvato “in via definitiva” il decreto legislativo, non nella versione originaria – come certamente gli sarebbe consentito – ma in quella formulata nel parere respinto. La responsabilità di dirimere la questione è ora nelle mani del Quirinale che deve emanare il decreto). Ma quanto “vale” lo scontro in atto? La riforma, nella sua versione finale, è stata valutata positivamente dall’ANCI (così come quella sul fisco regionale è stata approvata dalla Conferenza delle Regioni). Comuni e Regioni sono stati chiamati a pronunciarsi sotto il ricatto dei pesanti tagli delle risorse che hanno subito, da ultimo, nella manovra d’estate. Il criterio che ha guidato Comuni e Regioni è stato quello di portare subito a casa qualche soldo per chiudere i bilanci. E con il fiato corto, si sa, le questioni più strutturali di disegno della riforma passano in secondo piano. La questione dell’imposta di soggiorno sottende appunto al psicodramma in atto: Comuni con il fiato corto che chiedono un provvedimento che gli permetta di ottenere qualche soldo in più per gestire i propri bilanci. Ma, quello che interessa alla gente e alle imprese (e che suscita angosciosi interrogativi) è effettivamente l’applicazione della tassa di soggiorno? Non credo. L’angoscioso ed irrisolto interrogativo è un altro: con la definitiva approvazione del decreto riguardante il federalismo fiscale, le imposte aumenteranno? Una domanda che ha però ben poco a che vedere con la realizzazione del federalismo. Questa sorta di ossessione per una sorta di vincolo di invarianza della pressione fiscale rischia di snaturare il concetto di federalismo, che ha come suo principale obiettivo quello di rendere responsabili i sindaci davanti ai propri cittadini, ponendo questi ultimi nella posizione di giudicare se vi è corrispondenza fra le imposte che pagano e la qualità e quantità dei servizi che ricevono. Per tale motivo molti giudicano il provvedimento, ora nelle mani del Quirinale,assai modesto. Si ha l’impressione che più si va avanti nella formulazione (di effettiva applicazione si parlerà tra qualche anno) dello sbandierato federalismo fiscale, più si rivela per quello che altro non poteva essere: un riassetto, monco, dell’attuale sistema di decentramento fiscale. Manca il pezzo più importante: una regolamentazione adeguata del sistema perequativo dei comuni. Ovvero del meccanismo di compensazione che permette di compensare le differenze tra aree “ricche” ed aree “povere” del Paese.

Bidoni per la differenziata, partita l'indagine: una verifica a campione del contenuto dei cassonetti in strada. Scetticismo.

Se la stazione di compostaggio e/o di travaso sembra creare nuove polemiche perché realizzata in un area agricola abitata. Genera infatti grande sconcerto pensare alla portata definitiva che il nuovo impianto porterà con se.  Se, come sembra, per il futuro rimarrà solo la discarica di Jesolo (con adeguamenti ed ampliamenti), per San Donà di Piave infatti non è più previsto un ampliamento e funzionerà fino ad esaurimento volumetrie. Jesolo sarà pertanto uno tra i tanti comuni della Provincia che si servirà della stazione di compostaggio. Presumibilmente quindi aumenterà il traffico veicolare di mezzi di grossa portata che quotidianamente dovranno trasportare i rifiuti di altre realtà in stazione, il tutto a forte discapito e declassamento del territorio limitrofo. Credo che molti cittadini , al di là dei residenti della zona dove sorgerà l’impianto,si interroghino che vantaggio trae dal fatto di aver ubicato tale struttura all’interno del proprio comune. Considerata anche la forte valenza turistica del territorio, non sarebbe stato più logico e lungimirante partecipare al progetto ma adoperarsi al fine di ubicare un simile impianto fuori dal comune jesolanoe? Pare proprio, invece, che l’amministrazione comunale si sia fortemente interessata al progetto, nonostante la cosiddetta filiera della raccolta differenziata sia ancora ben lontana dall’essere realizzata!!La stazione di compostaggio può essere un utile strumento per comprendere la necessità della raccolta differenziata dei rifiuti, a patto però che il porta a porta funzioni e consegua gli obiettivi, peraltro riportati al punto  Così come l’ampliamento della discarica invece si contraddice con il punto del programma della coalizione (5.7.2 Il porta a porta”). Si legge, infatti: “Sarà gradualmente esteso il sistema di raccolta - già avviato in alcune zone della Città - dei rifiuti solidi urbani secondo la modalità del “porta a porta” su tutto il territorio comunale compatibile con tale sistema, al fine di conseguire i seguenti obiettivi:a) Incrementare la percentuale di raccolta differenziata;b) Ridurre le quantità di rifiuto destinato a discarica con conseguenti benefici sulla misura della tariffa di igiene ambientale… Credo che molti cittadini , anche se desiderebbero fare la raccolta differenziata, purtroppo non la fanno. E’ infatti un vero rompicapo dividere i rifiuti. Volendo fare una differenziazione oculata di questi ultimi, occorrerebbe un numero elevato di pattumiere con evidenti problemi di spazio. Innanzitutto ogni comune dovrebbe fornire un elenco di tutte le cose che vanno per ogni bidone:  quello che non va nei sacchetti specifici lo metti nel cosiddetto "secco", cioè il vecchio normalissimo sacchetto "generico" della spazzatura. Faccio un altro esempio: i piatti di plastica, gli assorbenti igienici, le posate di plastica, vanno messe nel contenitore dei non differenziabili: cassonetto verde. Perché? la legge italiana prevede il riciclo dei soli imballaggi, cioè di tutto ciò che riveste, conserva il bene. Anche se la plastica del piattino rassomiglia moltissimo a quella della carta di caramelle non la si ricicla perchè non è imballaggio. I produttori della plastica del piattino non pagano la loro plastica perchè venga riciclata....per le aziende del riciclo sarebbe un lavoro gratuito senza retribuzione. Mai mischiare le plastiche poiché ,l'intero contenuto sarà gettato dalle aziende di riciclo nello sporco non differenziato. Nell'umido ci va tutto ciò di organico e solamente carta bianca (tovaglioli); poi abbiamo il contenitore per vetro e alluminio, quello della plastica (che come non deve contenere piatti di plastica e bicchieri), quello del cartone e infine quello del secco, dove va tutto ciò che non può essere gettato negli altri contenitori (piatti e bicchieri di plastica, assorbenti igienici ecc.). Per questo motivo, anche il Comune dovrebbe fornire un elenco di tutte le cose che vanno per ogni bidone. Contro ogni evidenza, questo mi pare sia stato disatteso  nonostante il programma di maggioranza (punti 5.7.3 Formazione e educazione- 5.7.4 Comunicazione, informazione e sensibilizzazione) preveda (riporto fedelmente il testo) che: “Alisea si dovrà impegnare altresì ad individuare le iniziative necessarie (con reperimento dei relativi mezzi finanziari) per la costante formazione dei cittadini “più piccoli” (presso asili, scuole) affinché siano correttamente appresi comportamenti finalizzati al rispetto dell’ambiente e al recupero virtuoso del rifiuto:“Da rifiuto a risorsa”. Ancora: “Saranno individuate le iniziative necessarie per la realizzazione di campagne informative con cadenza regolare presso le utenze private, le utenze commerciali, artigianali, industriali per la corretta differenziazione dei materiali di scarto e dei rifiuti al fine di consentire concretamente la realizzazione del ciclo virtuoso di recupero e riutilizzo degli stessi”. Per quanto riguarda le attività alberghiere,commerciali e di somministrazione si è sempre voluto rimarcare il problema della gestione della raccolta differenziata. Basterebbe, a mio avviso, inserire tra i requisiti necessari per l’apertura di un’attività, una autocertificazione che dichiari il rispetto di una serie di requisiti (oltre a quelli morali, professionali, igienico-sanitari ecc.) , tra cui quello importante della raccolta differenziata per carta, plastica e vetro: ovvero l’adozione degli strumenti e delle pratiche necessari per una corretta effettuazione della raccolta differenziata che diventa un obbligo, sia per le nuove attività che per gli esercizi già funzionanti ma sottoposti a interventi strutturali.

CARNEVALE JESOLANO: un evento "comunicato" male.

I dettagli, a volte sono importanti, se non determinanti. Date un occhiata alla pagina twitter collegata al sito www.jesolo.it (anche qui viene riportato sotto la voce "ieri" , 13.03.2011, "La sfilata dei carri e'posticipata al 27/03 causa maltempo")

Il CARNEVALE JESOLANO, una delle più interessanti manifestazioni jesolane, subisce un nuovo affronto, attraverso un provvedimento che ne nega la sua prevista effettuazione per domenica 13 Febbraio: causa maltempo. Comunicazione TARDIVA (come è evidenziabile nel dettaglio), tanto più aggravata da un certo numero di pendolari che si sono "spostati" , nonostante il maltempo, sul litorale. Ma si può attendere l'ultimo minuto per dare comunicazione di posticipo di una manifestazione particolarmente attesa dal pubblico?  Tutti temono tutto, tutti delegano il delegabile alle condizioni atmosferiche. Il 27 saremo in pieno periodo di Quaresima: e la “la patata bollente” sarà ancora lì,i attesa del "riscontro meteo". Jesolo sarà anche una capitale europea del Turismo: peccato che per arrivare a "vivere" di turismo vi sia bisogno di un salto di mentalità.Se le autorità competenti non riescono a coordinare, neppure sotto l'aspetto comunicativo (posticipo) un evento interessante come il Carnevale jesolano,nessuno sarà neppure più autorizzato a criticare le realtà virtuali di eventi più importanti come Miss Italia nel Mondo. La nuova data, tempo permettendo, dovrebbe essere reale, con buona pace, si spera, dei potenziali incassi che le stesse attività potranno registrare. Basta essere sicuri che la i pendolari del giorno 13 (domenica) con l'aspettativa dei "carri" non decidano di rimanere a casa.

Autorizzazioni Insegne: ma dov'è la semplificazione?

"Per il Regolamento Comunale sulle Imposte pubblicitarie chiunque installa o colloca un insegna, anche nel proprio spazio privato di attività, oltre a pagare la tassa relativa, deve presentare domanda di autorizzazione, rinnovabile ogni tre anni. Basta esaminare il modulo in allegato, per comprendere quanto tutto questo, in un epoca di forte richiesta di semplificazione amministrativa, "pesa" sulle attività. Il modulo per l'autorizzazione fa sorgere agli imprenditori domande che non sono mica senza senso:  a) le domande esaminate giungeranno ad autorizzazione o riceveranno motivato diniego entro un determinato periodo di tempo?;b) l’'Ufficio Cartellonistica presso il Comando di Polizia locale (che ha il compito di esaminarle), riuscirà ad visionarle non solo secondo uno stretto ordine cronologico di presentazione al protocollo del comune, ma anche assecondando tutte quelle attività che potrebbero vedersi negare l’autorizzazione nel periodo stagionale? L’ufficio competente, secondo proprie regole, potrebbe, infatti, richiedere alle attività un ulteriore richiesta di integrazione o modifiche alla soluzione progettuale in essere presentata con la domanda; c) la domanda, da compilarsi sull'apposito modulo in allegato, dovrà essere, per forza, corredata da progetto con relativa descrizione tecnica, come se questa fosse un opera di natura edilizia'? Dovremmo presentare un bozzetto del messaggio pubblicitario esposto? Dovremmo presentare una documentazione fotografica che illustri il punto di collocazione? d) A quando la scadenza di presentazione delle domande di autorizzazione?Tutto questo realizza una sommatoria devastante per un impresa: costi impropri e perdita di tempo per "inseguire" la pratica.
In questo momento di epocale crisi economica è più che mai indispensabile  porre attenzione alle necessità del mondo produttivo che vorrebbe poter operare con la massima celerità, senza subire, come spesso accade, gli eccessi di burocrazia che, purtroppo, a volte paralizzano le attività.
Le pratiche connesse alle autorizzazioni di insegne risultano spesso sproporzionate rispetto al bene da installare e a volte del tutto identiche a quelle necessarie per ottenere il permesso di costruire. Un fenomeno negativo che interessa anche la Pubblica Amministrazione di Jesolo. Questa dovrebbe essere, infatti, la prima interessata a recepire meccanismi ed istituti semplificativi:  soluzioni efficaci per migliorare e snellire l’attività burocratica di tutti i Comuni, con indubbio vantaggio per le attività produttive e commerciali ma anche per la Pubblica Amministrazione, sia in termini di qualità del servizio ai cittadini sia in termini di riduzione dei costi. Si dovrebbe facilmente intuire che un insegna non ha niente a che fare con un opera edilizia o ingegneristica: un autorizzazione non deve perciò essere un obbligo ma un opportunità per chi la richiede. E’  giusto pertanto che le procedure debbano essere semplificate. Una semplificazione da ritenersi un beneficio non solo per l’operatore che deve eseguire l’intervento e per il cittadino (che necessità di esporre l’insegna in tempi ragionevoli) ma anche per le Amministrazioni che risparmiano tempo nell’espletamento delle pratiche.
La Suprema Corte ha ritenuto in più occasioni che l’installazione di un manufatto pubblicitario non necessita di autorizzazione o concessione edilizia (definizione dei titoli edilizi ante T.U. Edilizia del 2001, ora permesso di costruire), trattandosi di intervento che non comporta una trasformazione urbanistica del territorio e che, quindi, tra l’altro, non integra gli estremi di alcun reato urbanistico.In sintesi i ragionamenti effettuati dalla Corte di Cassazione si basano sul presupposto di assoluto buon senso che un insegna (o altro mezzo pubblicitario), spesso di modeste dimensioni, non possa in alcun modo rientrare nella previsione legislativa che richiede l’autorizzazione edilizia, o altro titolo edilizio abilitante ivi compresa la DIA edilizia. Anche il Giudice Amministrativo ha avuto modo di pronunciarsi sul punto.“Il cartellone che pubblicizza l’attività svolta, per i materiali di cui è composto, per la funzione che assolve e per la sua consistenza meramente bidimensionale, non produce perturbazioni di natura urbanistico – edilizia tali da essere assoggettato al regime concessorio.” (T.A.R. Lombardia, Sezione II, 07 Giugno 1991 n. 995, in Trib. Amm. Reg., 1991, I, 2878).
“Anche l’installazione di cartelloni pubblicitari sulla facciata di un edificio [n.d.r. insegna di esercizio], se di rilevanti dimensioni, costituisce un intervento sul patrimonio edilizio esistente, in quanto capace di modificarne l’estetica in modo duraturo, necessita quindi, del rilascio di un provvedimento abilitativo da parte del Comune, che può essere un’autorizzazione e una concessione, a seconda del diverso impatto urbanistico dell’intervento” (TAR – Emilia Romagna – Parma 24/04/1991, n. 126).“L’installazione di cartelli pubblicitari, di dimensione non trascurabile e stabilmente infissi al suolo, assume rilevanza ai fini urbanistici ed è necessariamente soggetta al preventivo rilascio di apposita concessione o autorizzazione edilizia” (TAR Umbria Perugia 23/08/1997, n. 479).
Non ultimo errore, a mio avviso, è di non aver comunicato ai cittadini questa ulteriore incombenza burocratica: ai quotidiani non è stata trasmessa, per quanto mi pare di ricordare, alcuna comunicazione istituzionale al riguardo. E neppure il giornale dell'amministrazione Comunale è stato utilizzato per tale scopo, nonostante sia un mezzo di comunicazione rivolto (e finanziato) dai cittadini."

Aperture di "Pizze al taglio". Quanto influisce sulla qualità complessiva del servizio offerto ai turisti?

"L'aumentare dei ritmi della vita ha fatto sì che sempre più gente preferisce mangiare velocemente qualcosa, specie durante i week end al mare: un’ampia fetta di turisti, spesso identificati con i pendolari, è stata conquistata dalle pizzerie al taglio. Attività che anche a Jesolo  stanno diventando numerosissime, per non dire in continua espansione. E’ anche vero che, in un contesto di programmazione commerciale, tali attività, rispetto alle attività che somministrano cibi e bevande, sono vere e proprie “mosche bianche”. Facili da aprire, necessitano solo dell’iscrizione al registro delle imprese e all'albo delle imprese artigiane, più l'autorizzazione della ASL che certifica se i locali sono in regola con le vigenti normative igienico-sanitarie. Per legge,poi, la pizzeria al taglio, se non in possesso di licenza comunale e l'iscrizione al REC non potrebbe somministrare bevande e i pezzi di pizza venduti, dovrebbero essere consumati fuori dal locale. In realtà, , ma in realtà la maggior parte dei locali per pizza al taglio è dotata di panchine o sedie consentendo così  il consumo all’interno della pizzeria : un problema non di facile soluzione che si ripropone come fenomeno di “contrapposizione” frontale tra pizzerie e le stesse “pizze al taglio”. Per quanto mi  riguarda, la stesura di un piano commerciale dovrebbe agire i due direzioni: A)far ricomprendere (con una modifica legislativa) le “pizze al taglio” all’interno delle autorizzazione per la definizione di un piano commerciale che occupa “l’area vasta”; B) un “blocco” all’espansione di tali attività. In questo senso  sarebbe però stato utile che il Comune avviasse tali attività  di verifica sullo stato di proliferazione di nuovi esercizi commerciali che esercitano attività con prodotti e allestimenti “take away”. Non si tratta, ovviamente, di tenere la testa sotto la sabbia e negare l’evidenza di ciò che potrà essere la "somministrazione di cibo e bevande in un prossimo futuro. Si tratta di non generare fenomeni di tensioni tra le parti (il cartello “Via delle Pizze” esposto fuori la Pizzeria Perla Nera è certamente significativo del clima che si respira in zona". 

Quanto "vale" un ponte festivo? Storia di un occasione persa (17 marzo)

Confindustria ha affermato che un eventuale “ponte” per i festeggiamenti del 150° anniversario dell’Unità d’Itala, potrebbe causare 4 miliardi di danni all’ economia nazionale. , invece ha deciso di "boicottare" le prenotazioni per protestare contro la tassa di soggiorno. Eppure per un sistema che continua a soffrire di consumi bassi (e non sicuramente di scarsa produzione industriale), la gita fuori porta o lo shopping potrebbero aiutare a rimettere in moto la nostra economia . L’Amministrazione Comunale si è limitata ad una scarna cerimonia per il 17 marzo: ore 10.00 cerimonia dell’alzabandiera con lancio di corona sul fiume Sile; ore 10.30 narrazione della storia di Jesolo durante i 150 anni, accompagnata dalle musiche della Fanfara dei Bersaglieri.  Eppure questo anniversario cade in un anno particolarmente povero di ponti. Il 25 Aprile è Pasquetta, il 1° maggio è domenica. E’noto,poi,  a tutti gli albergatori che le strutture  alberghiere vivono in una situazione che le vede iper-utilizzate e sovraffollate nei due mesi estivi (Luglio ed agosto), mentre nel resto della stagione turistica sono sottoutilizzate. Un “ponte” in un mese come marzo, con un coerente programma di manifestazioni,  avrebbe potuto attivare il turismo culturale, quello enogastronomico e la vacanza per lo shopping. Confcommercio stima che un ponte “valga” 1,35 miliardi di euro (basti pensare che quello del 25 aprile 2008 valeva 1,8 miliardi!!). Il tira e molla sugli Inno e l’assenza di qualsiasi discussione “costruttiva” sul programma dei festeggiamenti ha prodotto un programma che assomiglia a quello del 4 novembre (Anniversario della Vittoria). Irrilevante per gli operatori economici e asfittico nella capacità di attirare potenziali turisti.

Come prevenire ondate migratorie senza cadere nella solita (e poco profittevole) retorica “emergenziale.

Le preoccupazioni di parte delle forze politiche locali sul problema di una possibile “ondata” di profughi provenienti dal Magreb hanno sicuramente un fondamento, anche se, per ora la situazione rimane tranquilla. Sarebbe però desiderabile che tutte le forze politiche adottassero una linea più attiva: non si può certamente ritenere che la riapertura dei centri di accoglienza possa ritenersi la soluzione più consona al problema. Nessun Comune, temo, vorrebbe vedere trasformato il proprio territorio come Lampedusa, dove gli “sbarchi” stanno effettivamente mettendo a rischio l’industria turistica. L’Europa sembra non avere una strategia complessiva per risolvere l’emergenza : è però necessario rimettere in moto l’idea che solo una forza civilizzatrice proveniente dall’occidente può produrre cambiamenti democratici nella regione In questo senso, la politica italiana, per la sua influenza nel Mediterraneo, ma anche quella europea ed americana dovrebbero riprendere la politica di sostegno e di sviluppo delle istituzioni democratiche in quelle nazioni per raggiungere l’obiettivo dell’eliminazione della tirannia. Ciò significa incoraggiare quei Paesi a dotarsi di istituzioni ed economie “libere” . Non si tratta solo di difendere i propri interessi nazionali e “scegliere” di conseguenza. Si tratta di essere lungimiranti : di fronte ad una popolazione insoddisfatta che chiede pane (vero) e modernità non si può certo rispondere con l’immobilismo derivante dalla paura del terrorismo. Più che sanzioni e no fly zone, sarebbe importante approntare, con l’aiuto della comunità internazionale, di veri e propri centri assistenza (approvvigionamento viveri e cure sanitarie) in aree costiere “bonificate”  del Magreb (cioè prive di scontri armati). Jesolo  è uno dei  tanti comuni italiani, come Lampedusa, che non intende vivere in una costante emergenza determinata dalla presenza di profughi . Il Consiglio Comunale e la Giunta con il Sindaco dovrebbe comprendere che non ci troviamo di fronte a dei semplici “sbarchi” ma, al contrario, ad un problema nuovo che ha bisogno di una nuova strategia complessiva . Vi sono popoli che hanno fame di grano e di modernità. Come rispondiamo?

Anche Jesolo destinata al “suicidio demografico”?

Il sindaco Calzavara definisce il “Rapporto Jesolo” (supplemento a “Jesolo” , giornale dell’Amministrazione Comunale) “uno strumento di trasparenza amministrativa”. Per quanto mi riguarda lo definerei “un utile strumento di valutazione delle politiche pubbliche”. Mi riferisco alla pag.7 (“La popolazione: come cresciamo”). Si legge (in alto a sinistra): “Jesolo continua la sua crescita(?) arrivando a marzo 2009 a 25 mila abitanti. Alla data del 30 giugno 2010 la popolazione residente ha raggiunto quota 25.426. Una crescita lenta ma costante, grazie anche ai cittadini extracomunitari che attualmente rappresentano il 6,82% della popolazione residente, i cittadini stranieri della comunità europea sono invece il 3,52%. Il tasso di natalità varia di anno in anno e si assesta intorno all’8,20 % contro un tasso di mortalità di 8,80% che supera quest’anno quello di natalità. Negli ultimi anni- conclude frettolosamente ed incompiutamente l’articolo-siamo quindi cresciuti grazie al maggior numero di iscritti provenienti da altri comuni”. Le statistiche ufficiali, si sa, sono un bene pubblico indispensabile per la conoscenza ma anche un supporto utile alle decisioni che la politica prenderà per il bene di tutta la collettività: cittadini, operatori economici, parti sociali, ecc. La Città “è cresciuta”?. Nel 2001 la popolazione residente era di 22.724 (il dato è ricavabile dal grafico sottostante), nel 2009  (al 31.12.2009) è di 25.232.Qual’è la crescita della popolazione residente? Da 22.274 a 25.426 vogliono dire 3.152 abitanti in più nell’arco di 9-10 anni circa (+ 14,00% circa). Ma “quale” popolazione è cresciuta? I cittadini extracomunitari e stranieri della comunità europea sono 6,82% + 3,52% (10,34%). Il 10% sul dato del 30 giugno 2010 (25.232) significa Sono perciò solo 629 le unità corrispondenti a cittadini d origine italiana residenti: l’attuale popolazione straniera si aggira intorno alle 2.500 unità. 20% della crescita complessiva a cittadini italiani, 80% a cittadini di origine straniera. Qual’ è allora  la direzione complessiva di tale “suicidio demografico”? Stupisce che,a livello locale, questo tema drammatico non sia al centro di un dibattito culturale e politico. Se - come riferisce il breve articolo - il tasso di mortalità supera quello di natalità è evidente che anche Jesolo si avvia a diventare  una città con il minor numero di nati: e lo sarebbe già se, (un argomento di scommessa),  dalle nascite registrate si escludessero i figli d’immigrati residenti, appartenenti a famiglie di religione islamica. Che cosa significa tutto questo? Che anche Jesolo dimezzerà la popolazione nel corso di una generazione. Avremo quindi  una società “multireligiosa” o, piuttosto “multietnica”? Una città con una sensibile ed importante maggioranza musulmana costituirebbe, molto semplicemente, una città ben diversa rispetto a quella che oggi conosciamo. Si può discutere se sarà bella o brutta: di certo, non sarà più la stessa. Raccogliere la “sfida” di una consulta sulla libertà religiosa avrebbe potuto generare discussioni interessanti (e sicuramente non prive di ampi dibattiti sia in politica che nella città).

Alzabandiera presso VILLA ROBERTA.

Per onorare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, giovedì 17 marzo, presso l’albergo Villa Roberta di Piazza Trento avrà luogo l’alzabandiera. All’interno del parcheggio adiacente è stato posizionato un pennone dal quale far sventolare il Tricolore. Un medesimo alzabandiera inaugurerà l’apertura della stagione estiva: l’augurio è di ripartire con interessanti novità sul fronte dell’offerta turistica, senza dimenticare di puntare sulle straordinarie risorse ambientali di Jesolo. Ci auguriamo, inoltre che l’alzabandiera diventi il debutto di un’iniziativa che possa coinvolgere sia gli studenti del catechismo della vicina Chiesa Sacro Cuore di , sia i loro genitori . Attraverso la bandiera non ci identifichiamo solo in una storia comune. Vi è anche il riconoscimento sostanziale dei valori e dei bisogni della persona umana. Una nazione è un anima, un principio spirituale, dove tutte le persone  sono destinate a completarsi e perfezionarsi a vicenda, mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale. Una nazione è perciò una grande solidarietà creata dal sentimento dei sacrifici che sono stati fatti e che siamo disposti a fare in futuro, il desiderio chiaramente espresso di continuare la vita in comune. L'esposizione della bandiera italiana ha proprio questo significato, peraltro contenuto già nella catechesi.

Festa del 150° anniversario dell'Unità d'Italia a Jesolo: Che tristezza!!

 Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d'Italia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861". Ma come hanno “visto” gli jesolani ed i pendolari questa festività? Sono andato alla ricerca di italianità, non in Municipio (il cui programma è stato abbastanza triste). Debbo dire che non ho mai visto un’anziana signora (L’Italia) così maltrattata, insultata, ferita e trascurata. Mentre la storia si dimentica fin troppo facilmente. E, si sa che la storia non è fatta di sole gioie (altrimenti lo sventolio della bandiera si ridurrebbe ad una vittoria calcistica, al grido “campioni del mondo” – tre volte) ma anche di dolori, eroismi e, qualche volta di grandi errori. Ma è sempre e comunque la nostra storia (o se vogliamo la continuazione della storia dei nostri padri) e non va rinnegata. È triste vedere (e sentire) che c’è chi si vergogna d’essere italiano. Chi nega la festa (tenendo chiuso) ma non offrendo servizi ai pendolari giunti a Jesolo.  Chi la nega, al contrario, tenendo aperto per svolgere lavori di straordinaria manutenzione. Qualcuno, timidamente o, forse, all’ultimo momento, espone il tricolore. Per il resto, un’infinita tristezza. Mio padre ha issato sul pennone (nuovo) della “sua” pensione, il Tricolore. Poi (forse perché si è arrabbiato nel vedere così poca “partecipazione” (un affronto per chi ha combattuto, soffrendo, durante la seconda guerra mondiale) ha voluto installare un “bandierone” tra il primo ed il secondo piano. Forse (un pennone per l’alzabandiera è già un fatto raro, specie se collocato all’interno di un piccolo albergo) la bandiera più grande di Jesolo!! . Poi vi sono quelli che vorrebbero non essere italiani e si schierano con possibili annessioni all’Austria (“siamo lombardo-veneti”, dicono). È vero, abbiamo i nostri problemi, ma chi non li ha? E il modo per risolverli non è scansarli con altisonanti parole, ma affrontarli stando umilmente uniti, per affrontare le sfide del mondo. Ho visto una città triste,e per dirla tutta, poco “accogliente”. Eppure il Presidente della Repubblica, ancora nel 2010, nel giorno dell’apertura delle celebrazioni per i 150 anni a Reggio Emilia, aveva criticato il “Ritrarsi dall'impegno” a celebrare il 150esimo anniversario della Unità d'Italia. «Non giova a nessuno, non giova a rendere più persuasive, potendo invece solo indebolirle,le legittime istanze di riforma federalistica e di generale rinnovamento dello Stato democratico». Parole chiarissime a richiamare le forze politiche al rispetto delle istituzioni e della loro storia. Il presidente della Repubblica non fa nomi, ma si legge un chiaro messaggio alla Lega quando si rivolge «a forze politiche che hanno un significativo ruolo di rappresentanza democratica sul piano nazionale e locale.  Un occasione persa per Jesolo (anche sotto il profilo economico: un programma di manifestazioni per il ponte del 17 marzo, avrebbe favorito i consumi e le imprese.

Commercio: rischio aperture indiscriminate se non c'è la programmazione comunale.

Alcune considerazioni a margine dell’articolo “Crosera vota contro il Piano” (La Nuova, 9 febbraio 2011, pag. 36). Crosera non avrebbe voluto fornire spiegazioni relative al voto contrario relativo all’approvazione del Piano Urbanistico del progetto dell’architetto Zahe Aidid (un centro commerciale alle porte di Jesolo). Una sorta di difesa del consigliere Crosera viene dal sindaco Calzavara che così spiega il voto contrario del suo consigliere:”Lui rappresenta i commercianti nell’eterna lotta con i centri commerciali e ha fatto quello che riteneva di dover fare”. Sembra quasi di trovarsi di fronte ad un “eterna” lotta tra “bene” (lo sviluppo) e “male” (l’arroccamento dei commercianti contro ogni forma di liberalizzazione del commercio). Una sorta di dimensione etica dove un consigliere di maggioranza vota “contro” un provvedimento senza rendere conto, anche per un principio di autotutela dell’Amministrazione di cui fa parte, delle effettive motivazioni, utili quantomeno a fare chiarezza sulla questione. Come coordinamento comunale di Alleanza di Centro, scegliamo di essere invece “responsabili” senza scadere nella solita vuota retorica che ci vede ora “contro” i commercianti (“colpevoli” di opporsi alle liberalizzazioni), ora “contro” la Pubblica Amministrazione (“colpevole” di “uccidere il commercio”). Questo perché le cosiddette “liberalizzazioni” non sono un “gioco al massacro” ma (ed è abbastanza intuitivo) una logica governata da regole che vanno osservate. L’attuale normativa sul commercio chiarisce e ribadisce un concetto fondamentale, utile a governare lo sviluppo equilibrato del territorio: limiti e divieti all'apertura di esercizi commerciali possono essere opposti solo se c'è una Programmazione Commerciale vigente e conforme alla normativa nazionale e regionale che stabilisca in modo chiaro e coerente i criteri urbanistici, ambientali e sanitari che devono essere rispettati nelle diverse aree del territorio. Ciò significa, ad esempio, che un supermercato di medie dimensioni potrebbe aprire senza ostacoli nel centro storico di un Comune che non abbia un piano di settore. Nell’essenzialità del ragionamento: senza programmazione commerciale i processi di liberalizzazione degenerano in una “deregulation” dannosa per il patrimonio collettivo. Ribadisco: nessuna programmazione significa impossibilità di opporsi all'apertura di nuove strutture commerciali che chiederanno di insediarsi sul territorio!! Innegabili, quindi, sotto l’aspetto commerciale, le ripercussioni negative sulla rete di vendita di vicinato. La stessa normativa regionale (’art. 14 della L.r. 13 agosto 2004 n. 15) fa intuire l’importanza dei principi da tenere in considerazione nella stesura del documento di programmazione commerciale. Ne cito alcuni: mantenimento di una presenza diffusa e qualificata del servizio di prossimità; equilibrio delle diverse forme distributive; tutela delle piccole e medie imprese commerciali; definizione di un rapporto tra densità di medie-grandi strutture di vendita ed esercizi di vicinato non superiore a quanto stabilito dalla giunta regionale. Non ultima la priorità alle domande di ampliamento relative ad attività esistenti. Per l’individuazione dei criteri per il rilascio delle autorizzazioni commerciali relative alle medie strutture sarà importante esaminare la situazione della rete distributiva comunale con un confronto con la realtà provinciale e comprensoriale. Questo significa “difendere” il commercio.

Troppe Pizzerie? Ma la liberalizzazione è davvero incompatibile con la programmazione?

Mi è giunta , tramite fotocopia consegnata dallo stesso ristoratore jesolano, una lettera, recante firme di altri ristoratori della zona e indirizzata all’Amministrazione Comunale e all’Assessore al commercio e alle attività economiche. I ristoratori della zona tra piazza Mazzini e Largo Augustus si chiedono “come sia possibile la nascita di così tante pizzerie e ristoranti in una zona che è già abbondantemente servita di attività di questo tipo”. In forza di tale interrogativo, i ristoratori della zona si dichiarano “profondamente preoccupati nel vedere ciò che sta accadendo a livello commerciale lungo questo tratto di via” ritenendo la stessa politica “incapace di tutelarci”. Per comprendere l’importante questione sollevata è necessario chiarire che , lo stato italiano ha fatto già proprie alcune delle disposizioni della Direttiva Bolkestein, quando stabilisce che le attività di commercio e somministrazione non possono essere sottoposte ad alcuni requisiti tra cui, per quello che qui ci interessa, il rispetto di distanze minime obbligatorie tra attività della stessa tipologia. Tale nuova disposizione  sancisce l’incompatibilità delle distanze minime obbligatorie  con il principio di tutela della concorrenza. Una programmazione che preveda una siffatta valutazione, può determinare, infatti, ingiustificate distorsioni della concorrenza, in quanto è in grado di impedire la crescita delle imprese e il conseguimento di economie di scala che, nei contesti di mercato caratterizzati dalla presenza di qualificati concorrenti, possono condurre a benefici per i consumatori. Tale programmazione avrebbe l’effetto, pertanto, di limitare l’esercizio dell’attività imprenditoriale senza tutelare la concorrenza e i consumatori, recando al contrario un potenziale danno agli stessi. Questo non significa però (e veniamo alla protesta giustificata del ristoratore), a mio modo di vedere, che non esista più una programmazione commerciale: se viene meno una programmazione numerica e contingentata lo si fa solo perché il riferimento della stessa si effettua su altri elementi ugualmente rilevanti. Faccio riferimento alle indicazioni contenute nel d.lgs. 59/2010, agli artt. 64, in materia di esercizi di somministrazione e 70, in materia di commercio su aree pubbliche (ma, si ritiene, anche in questo caso si tratta di principi naturalmente estensibili a tutti i settori del Commercio).Secondo tali norme, i provvedimenti di programmazione, limitati a zone del territorio comunale da sottoporre a tutela:a) devono garantire l’interesse della collettività alla fruizione di un servizio adeguato e quello dell’imprenditore al libero esercizio dell’attività;b) possono consistere in parametri oggettivi e indici di qualità del servizio; c) possono prevedere divieti o limitazioni all’apertura di nuove strutture solo per ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità, rendendo impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio ed alla normale mobilità;d) devono garantire la tutela e salvaguardia delle zone di pregio artistico, storico, architettonico e ambientale; e) non possono prevedere criteri legati alla verifica di natura economica o fondati sulla prova dell’esistenza di un bisogno economico o sulla prova di una domanda di mercato, quali entità delle vendite e presenza di altri esercizi. In sostanza il Comune definisce e regolamenta i requisiti degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, in relazione alle specificità delle diverse parti del territorio comunale, tenendo conto di servizi (parcheggi pubblici disponibili, ad esempio) , standard di servizio qualitativamente adeguati alle esigenze di mercato della zona (capacità ricettiva di posti tavolo  proporzionata alla potenzialità della cucina e allo spazio adibito alla somministrazione ), servizi igienici ad uso esclusivo degli avventori adeguati alla superficie). Senza contare che le attività di produzione , trasformazione e distribuzione degli alimenti, proprie di locali dove di effettua la somministrazione di ci alimenti e bevande, devono essere svolte realizzando l’obiettivo dell’igiene dei processi e della conseguente sicurezza degli alimenti trattati. Ecco che l’emanazione di uno specifico regolamento di attività di somministrazione di alimenti e bevande,  in funzione delle zone individuate, permetterebbe a chiunque intendesse trasferirsi nella zona interessata di effettuare una corretta valutazione sui requisiti da impegnare.

AUTOSTAZIONE: MA I PARCHEGGI DOVE SONO?

Il progetto dell’autostazione di via Equilio, avrebbe dovuto essere supportato da un parcheggio a raso che avrebbe dovuto essere realizzato in corrispondenza della stessa. Questo intervento, avrebbe dovuto rientrare  in un più ampio sistema di razionalizzazione e sviluppo dei mezzi di trasporto pubblico. Nella stesura e successiva realizzazione del Piano del Traffico, l’Assessorato ai Lavori Pubblici, avrebbe dovuto comprendere che le aree adiacenti alla Stazione Bus  presentavano alcune criticità dovute alla carenza di parcheggi . I 20 posti auto messi lungo via Equilio, a disposizione degli utenti dell’ Autostazione, in determinati orari e periodi, specie durante il fine settimana dei mesi estivi, sottolineavano già una insufficiente capienza di parcheggio:  la contemporanea presenza di auto di residenti e pendolari necessitava inoltre di un numero di parcheggi superiore all’esistente. E’ perciò lecito chiedersi se la creazione di un marciapiede al posto dei 20 posti auto, con relativa individuazione del parcheggio in zona Picchi, soddisfi a giustificati criteri di programmazione. Va da se che manca , nonostante venga realizzata in quest’area un ‘altra pista ciclabile, una rastrelliera per biciclette messo a disposizione per chi dovesse recarsi in centro: un opportunità per lasciare l'auto in parcheggio in prossimità dell’autostazione. Inoltre  la carreggiata viene divisa in due corsie da uno spartitraffico, ognuna per senso di marcia, non sembra soddisfare ai criteri di sicurezza spesso citati.  

DOMENICA DI PASSIONE PER I PENDOLARI: MOLTE ATTIVITA’ COMMMERCIALI E PUBBLICI ESERCIZI CHIUSI. IL COMMERCIO VA RIORGANIZZATO ANCHE SECONDO GLI ORARI E LE APERTURE.

Il problema degli orari del commercio dovrebbe essere un tema rilevante nei riguardi dell’organizzazione urbana fin dall’avvio della discussine del PRG. Il tema, invece, non è mai stato inserito nell'agenda politica cittadina. Né, a ragion veduta, è stato mai considerato prioritario per le Associazioni di categoria. Eppure una collaborazione tra Pubblica Amministrazione, Associazioni di categoria e attività commerciali è necessaria per riequilibrare le funzioni commerciali sul territorio, nonché per ricercare, nella specifica realtà di Jesolo, nuove opportunità di sviluppo per il commercio. Inoltre, individuare il fattore orario come una modalità di attenzione per le politiche di spesa, in un momento di crisi, poteva contribuire ad infondere sicurezza nelle famiglie. Non è possibile trovare situazioni nelle quali i cosiddetti negozi di vicinato, “centrali” rispetto agli attuali zone abitative, chiudano ad orari che costringono i cittadini a recarsi nei parchi commerciali dove l’offerta, specie quella alimentare, attua un offerta oraria radicalmente diversa. C’è poi da ricordare che a livello nazionale, è stato emanato il cosiddetto decreto Bersani , che riforma la disciplina del commercio. Il decreto sostanzialmente dà avvio a una liberalizzazione concertata dell'orario di apertura e chiusura delle attività commerciali. A partire già dall'aprile 1999 permetterà agli esercenti di scegliere i propri orari di apertura in una fascia compresa fra le sette e le ventidue, per un massimo di tredici ore giornaliere e permetterà, nei comuni a prevalente economia turistica come Jesolo, deroghe all'obbligo di chiusura Domenicale. A giudicare dalle aperture di attività commerciali e pubblici  esercizi di domenica di domenica 6 febbraio, visto il considerevole numero di pendolari che si è riversato a Jesolo (ma non la prima volta che accade, avendo già segnalato il medesimo caso in una domenica analoga), il settore commerciale e dei pubblici esercizi seguono orari poco flessibili: durante la settimana si limitano all'apertura nelle ore classiche mattutine e pomeridiane, trasformando la città in un luogo deserto ed insicuro già in prima serata. Senza sfruttare, a quanto pare, né le Domeniche né, a volte, gli altri giorni festivi o prefestivi . In questo quadro complessivo si sarebbe dovuto elaborare un primo progetto dove costruire una vero e proprio calendario di manifestazioni, da condurre il venerdì ed il sabato sera, per animare le vie del centro. Si sarebbe dovuto definire inoltre luoghi e percorsi a prevalente carattere commerciale per lo svolgimento delle iniziative. Offrire uno spazio pubblico aperto come luogo attrattivo, di socialità, in una logica di sincronizzazione delle attività commerciali “slegata” dalle ore lavorative significa non solo favorire il cambiamento temporale dei comportamenti dei cittadini ma anche aumentare le opportunità di scelta nella costruzione individuale degli impegni della giornata (organizzazione flessibile del tempo quotidiano). Come dire: si offre ai cittadini l'opportunità di utilizzare il tempo liberato dal lavoro come tempo scelto per gli acquisti o per l divertimento. E’ evidente che per realizzare questi obiettivi è necessario avviare un lungo, quanto complesso lavoro di concertazione, articolato con un efficace piano della comunicazione. Senza contare che tutto questo dovrebbe essere, poi, affiancato da un azione di rilevamento delle attività commerciali aperte e dell'affluenza di pubblico durante l'apertura del sabato e di domenica sera nelle vie del centro storico, da effettuare tutti i giorni della sperimentazione, a cura della polizia municipale. Far coincidere, poi, il tutto in corrispondenza con l'avvio dei saldi (mi auguro al più resto liberalizzati, proprio per favorire queste politiche di liberalizzazione degli orari) significherebbe dare nuovo impulso al commercio

mercoledì 12 gennaio 2011

L'architettura non è solo una bella immagine

Asfaltare o trovare una soluzione che non “svaluti” il progetto del noto architetto spagnolo? Certo è che l’esperienza di Piazza Mazzini insegna che l’architettura non è solo una bella immagine, serve per risolvere i problemi, trovare soluzioni. Una piazza, un edificio, non è solo “forma”: deve infatti rispondere a quesiti. A mio modo di vedere, l’architettura dovrebbe essere un luogo di studio dove l’uomo entra in relazione con l’edificio e con l’ambiente che lo circonda. Invece si assiste, in generale, ad una progettazione che riimane sganciata da questa esigenza: Nel mondo, si progettano e si costruiscono edifici moderni, con relative piazze, pensati forse come opere d'arte in sé e non in funzione della vita comunitaria. Mi pare di intuire che anche per Piazza Mazzini vi sia stato un problema di dialogo tra committenza e architetti: senza partecipazione al progetto, l’unica soluzione è affidarsi all'ispirazione (spesso astratta) dell’ architetto. Insomma, una piazza non è fatta di modelli da replicare: è necessario il coinvolgimento di più attori. In breve: l’applicazione democratica e innovativa all’interno del nostro sistema di progettazione dovrebbe iniziare con la partecipazione ad ogni dettaglio e ad ogni fase del progetto, e non solo con il coinvolgimento nella scelta finale della progettazione!! .L’ atteggiamento verso l’adattabilità è totalmente diverso dal solito metodo di pianificare “dall’alto verso il basso” . In questo senso, l’attuale architettura nasconde una certa ideologia

lunedì 10 gennaio 2011

ABOLIAMOI I SALDI!!

A vedere le code assurde di questi giorni per i saldi di fine stagione, si è colti dall’insopprimibile desiderio di abolirli. Chi non ha urgenza di acquistare un prodotto aspetta  la vendita di fine stagione, per poterlo avere a un prezzo inferiore. L’esercente è invece costretto a mantenere  un magazzino che resterà intatto per gran parte del tempo, fino a quando iniziano gli sconti. E’ un po’ come complicarsi la vita per realizzare una modalità di !affare” che è semplice nella realizzazione. Le leggi, la burocrazia, chissà perché, è fatta per complicare le cose. Se prima del 1998 le vendite straordinarie di liquidazione si realizzavano in momenti favorevoli per gli acquirenti (date certe e comunicazione al Comune), la nuova riforma trasferiva la competenza di regolare i saldi alle Regioni. Non cambiando però il modo per effettuare le vendite di liquidazione: la Regione stabilisce dove e quando effettuarle. E poi dicono che c’è il libero mercato. Far partire gli sconti dopo le feste (a differenza di Paesi seri dove si comprende cos’è il libero mercato) è una presa in giro dei consumatori e dei commercianti. In un periodo di crisi, una presa in giro e anche un madornale errore. E come la mettiamo con le furbizie (spesso furbizie indispensabili per non chiudere i battenti) dei commercianti? Si inventano ridicoli escamotage: il negozio che liquida tutto per restauri urgenti. Poi, smaltita la merce in eccesso, il negozio toglie le scritte e ricomincia a lavorare ; c’è quello che si affida alla “vendita prenatalizia” o alle “occasioni regalo”, quello che spera nell’”anteprima”, quello che confida nei “supersconti” o nella “vendita promozionale” . E c’è anche quello che, beccato in flagranza di saldo camuffato, si becca una bella multa. E ancora:  “angoli outlet” , “prezzi pazzi” (sconti tutto l’anno?). Tutti modi per sfuggire ad una dittatura normativa per realizzare vendite più consone alle proprie esigenze. Aggiungo: si vogliono aiutare le famiglie in difficoltà , si vogliono incentivare i consumi con la crisi ancora incombente. Si invita a spendere senza avere paura. Se l commercianti potessero applicare liberamente gli sconti, la situazione sarebbe sicuramente migliore anche per  le famiglie, senza cercare inutili social card.

domenica 9 gennaio 2011

Lettera Aperta del 9 gennaio 2011 al SINDACO e al SEGRETARIO NAZIONALE ADC On. Francesco Pionati. Dignità umana e Libertà Religiosa.

In questi ultimi mesi i media hanno riportano quasi tutti i giorni preoccupanti notizie della persecuzione più o meno violenta ai cristiani in non pochi paesi dell’Asia e dell’Africa — come l’Arabia Saudita, la Cina, il Pakistan, il Sudan o la Nigeria —,non ultimo l’Egitto - mettendo per contrasto in evidenza nell’opinione pubblica il valore del diritto fondamentale alla libertà religiosa. In secondo luogo, dalla questione sulla libertà religiosa emergono importanti considerazioni sulla natura, i limiti e le giuste espressioni di questo diritto fondamentale, in armonia — e non in contrasto — con il patrimonio delle proprie tradizioni culturali, in molti casi della pressoché bimillenaria presenza culturale cristiana italiana ed europea. Diritto alla libertà religiosa e “ libertà religiosa” sono due concetti diversi. Il concetto di “libertà religiosa” non significa che tutte le religioni sono uguali, che tutte sono vere, e che ciascuno è liberissimo di scegliere quella che più gli piaccia: la verità su Dio, è una realtà oggettiva, non soggettiva; assoluta, non relativa; che non dipende dalla nostra ragione o dalla nostra volontà, pur se deve essere ricercata con una volontà esente da coazioni ed una ragione esente da pregiudizi. Diritto alla libertà religiosa significa ben altra cosa: nessuna persona può essere forzata ad attuare contro la sua coscienza, né può essere impedita di professare la sua religione in privato e in pubblico. Nella “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 si assiste ad una convergenza dottrinale tra dottrina giuridica ed il Magistero della Chiesa Cattolica. Tale Dichiarazione fondamenta essenzialmente la “libertà religiosa” in un medesimo concetto basilare: la “dignità della persona umana”, fondamento di tutti i “diritti universali della persona”. E’ pur vero, però, che la Dichiarazione non è legge internazionale ma, piuttosto “un ideale comune per la cui realizzazione tutti i popoli e nazioni devono sforzarsi”: come tale, però, è venuta progressivamente svuotandosi di autorità morale e di forza vincolante, a causa della crescente diffusione del pensiero filosofico e politico di individualismo libertario, o di matrice nichilista e agnostica. Introducendo un falso concetto di libertà disgiunta dalla verità, l’individualismo libertario non determina più alcun limite etico obiettivo alla condotta personale e sociale e, in ultima analisi, nemmeno ammette l’esistenza di valori obiettivi e universali moralmente e giuridicamente vincolanti, tra i quali il retto concetto di “libertà religiosa” e il giusto esercizio di questo diritto. La libertà religiosa è perciò una verità universale sulla natura e la dignità della persona umana — una verità che non può dipendere dalla opinione della maggioranza. Questo ci porta, inevitabilmente, alle persecuzioni cristiane in aree geografiche dove sussiste l’abuso totalitario di negare la libertà di coscienza ai propri cittadini (o, peggio, quella di negare la libertà di professare pubblicamente la propria religione non islamica), ma anche ad evidenti limitazioni della libertà religiosa in alcuni altri Stati totalitari: quelli che dinnanzi alla questione religiosa adottano una ideologia officiale di secolarismo ateo o, antireligioso (come la Cina ad esempio). E’ necessario però riconoscere che anche nei sistemi giuridici di paesi democratici sorgono problemi di insufficiente tutela della libertà religiosa. Quando, infatti, si introducono espressioni quali “neutralità dello Stato” o “laicità dello Stato” sono concepite, interpretate o applicate come una concessione dello Stato al cittadino — non come un’esigenza della dignità stessa della persona umana che precede ogni diritto positivo. Quando, infatti, il concetto di “laicità” si traduce di fatto in “laicismo”, il diritto alla libertà religiosa si tramuta in un atteggiamento negativo, di disprezzo “agnostico” delle credenze religiose, considerate frutto dello scarso progresso sociale o sviluppo culturale. Lo Stato, ma anche le Amministrazioni locali dovrebbero avere tutto l’interesse a vigilare, nonché tutelare, affinchè il diritto di libertà religiosa sia effettivamente garantita a tutti. Come ebbe a dire Giovanni Paolo II: …se un credente si sentono rispettati nella propria fede, e vedono le proprie comunità giuridicamente riconosciute, collaborano con tanta più convinzione al progetto comune della società civile di cui sono membri”. E come ogni questione che tocca il diritto positivo, è innegabile che vi debbano essere dei limiti che è giusto porre oggi all’esercizio del diritto alla libertà religiosa. L’Art. 18 del “Patto internazionale sui diritti civili e politici”, del 19 dicembre 1966, applicato successivamente nelle legislazioni di molti paesi, prevede che l’esercizio del diritto alla libertà religiosa possa essere limitato in base alla necessaria tutela della sicurezza, dell’ordine e della sanità pubblica, oltre che della morale pubblica e degli altrui diritti e libertà fondamentali. È questa la ragione, mi pare di capire, per cui negli ultimi anni e in non poche nazioni si è negato il riconoscimento giuridico a determinate sette e a nuovi culti pseudoreligiosi, che compivano o promuovevano atti contrari alla legge naturale condannati come delitti in qualsiasi società civilizzata. Da una parte, quindi, le ragioni relative alla “sicurezza” di una democrazia che affronta le questioni del “fondamentalismo religioso”. Dall’altra, il pericoloso sconfinamento delle democrazie occidentali in un laicismo che in modo spesso subdolo emargina la religione per confinarla nella sfera privata: “Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”. Un breve excursus storico sul dibattito relativo all’opportunità di inserire un richiamo alle radici cristiane all’interno delle prospettive costituzionali europee, oltre a fornirle, mi auguro, un utile materiale di discussione in sede consiliare sulle questioni giuridiche riguardanti il diritto alla libertà religiosa, potrà fornirle un utile prospettiva per ragionare su questioni che riguardano anche le minoranze religiose residenti nella nostra Città. L’Alleanza di Centro ritiene indispensabile, anche come partito di maggioranza di governo del Paese, di iniziare un ampio confronto su tali questioni a partire dalle Amministrazioni Pubbliche locali. Perché "Là dove si riconosce effettivamente la libertà religiosa -ha detto il Papa - la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice e, attraverso una sincera ricerca del vero e del bene, si consolida la coscienza morale e si rafforzano le stesse istituzioni e la convivenza civile; per questo la libertà religiosa è via privilegiata per costruire la pace".

a) L’ ART.6 del Trattato di Maastricht (1992) si affermava il rispetto dei diritti fondamentali da parte dell'Unione europea, diritti ricostruiti soprattutto attraverso la giurisprudenza della Corte di giustizia e ricavati dalla lettura delle "tradizioni costituzionali comuni" degli Stati membri e dalla Convenzione euopea dei diritti dell’uomo;

b) In seguito, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione è stata riconosciuta dalla "Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza), approvata nel 2000 in seguito ai lavori di un'apposita Convenzione e contenente un catalogo dei diritti riconosciuti dall'ordinamento europeo. La Carta, inizialmente approvata con una semplice dichiarazione e perciò priva di valore vincolante, era destinata a costituire la seconda parte del "Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa” la cui elaborazione e firma (il 29 ottobre 2004) aveva generato un ampio dibattito, anche sulla presenza nell'articolato di questioni relative al fattore religioso (su tutte quella dell’opportunità di inserire all’interno del Preambolo un richiamo alle “radici cristiane” dell’Europa);

c) Dopo la mancata ratifica di tale trattato ed il fallimento delle prospettive "costituzionali" europee, si è giunti alla firma, nel 2007, del Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Il Trattato di Lisbona ha introdotto alcune importanti modifiche ai trattati istitutivi (alcune di esse interessano da vicino anche il fattore religioso). Anzitutto, alla Carta di Nizza viene conferito "lo stesso valore dei trattati" (art. 6 del nuovo Trattato sull'Unione europea): i diritti da essa sanciti divengono, quindi, vincolanti per le istituzioni comunitarie e per gli Stati, negli ambiti di applicazione del diritto dell'UE. In secondo luogo, il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ripropone, all'art. 17, il contenuto della dichiarazione n. 11 annessa al Trattato , in base alla quale "l’Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale";

L'art. 17 del nuovo trattato prevede che l'Unione assuma l'impegno del dialogo aperto, trasparente e regolare con chiese e organizzazioni, da tempo presenti a Bruxelles con uffici e rappresentanze più o meno strutturate. E’ dunque ancora una volta la strada del dialogo e della collaborazione, già sperimentata in numerosi degli Stati dell’Unione, quella intrapresa da una Europa che, senza rinunciare alla propria connotazione laica, riconosce l’importanza del “contributo specifico” che le confessioni religiose possono offrire. Un contributo che potrebbe essere decisivo in relazione alla necessità di ammortizzare possibili situazioni conflittuali determinate dall’aumento di disomogeneità religiosa determinato dai consistenti flussi migratori extraeuropei ed intraeuropei..

DISTINTI SALUTI
Walter Luvisotto
Coordinatore ADC
Comune di Jesolo (VE)